Teorie del diritto- Hans Kelsen
Hans Kelsen (Praga, 1881 – Berkeley,1973) è stato un giurista e filosofo austriaco, tra i più importanti teorici del diritto del Novecento e il maggior esponente del normativismo.
Hans Kelsen nacque a Praga l’11 ottobre 1881 da una famiglia ebraica. Successivamente si trasferì con la sua famiglia a Vienna, dove iniziò i suoi studi di diritto. Nel 1905 scrisse la sua prima opera, ovvero una monografia su Dante e il suo pensiero politico, intitolata Die Staatslehre des Dante Alighieri (La Teoria dello Stato in Dante). Dopo aver terminato i suoi studi in giurisprudenza, e aver conseguito il dottorato nel 1906, soggiornò per un breve periodo a Heidelberg. Tornato a Vienna, nel 1911 conseguì l’abilitazione all’insegnamento universitario del diritto pubblico e della filosofia del diritto.
In questo periodo pubblicò Hauptprobleme der Staatsrechtslehre entwickelt aus der Lehre vom Rechtssatze, ovvero Problemi fondamentali della dottrina del diritto pubblico esposti a partire dalla dottrina della proposizione giuridica; quest’opera segnò una sorta di svolta per Kelsen nell’ambito della scienza del diritto e l’inizio di tutto il suo pensiero filosofico e politico. Iniziò così da lì in poi, la sua carriera di docente presso l’Università di Vienna e presso la Export-Akademie des k.k. Handels-Ministeriums. Nel luglio 1918 venne nominato professore straordinario di ruolo, e successivamente nell’agosto 1919, professore ordinario di diritto pubblico alla Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Vienna. Nel 1920accettando la proposta del cancelliere Karl Renner, partecipò alla scrittura della Legge costituzionale federale per la Repubblica austriaca.
L’anno dopo, ovvero nel 1921, venne eletto giudice a vita della Corte Costituzionale della Repubblica austriaca; seguirono così anni nei quali si dedicò molto alla politica e alle istituzioni. Dopo otto anni, e quindi nel 1929, si sciolse la Corte Costituzionale a causa di una riforma voluta dal partito cristiano-sociale. Kelsen trovandosi in contrasto con queste scelte, decise di lasciare l’Austria, e di partire per la città di Colonia. Nell’Università di questa nuova città, Kelsen accettò la cattedra di diritto internazionale che gli era stata precedentemente offerta. Ben presto iniziò la polemica con Carl Schmitt relativa all’attribuzione della sovranità secondo l’art. 48 della Repubblica di Weimar, il quale diceva che “nel caso la sicurezza dello stato fosse messa in pericolo, il Presidente avrebbe la facoltà di emanare leggi per decreto, quindi di assumere di fatto la dittatura”.
Nel 1933 con l’avvento del nazismo, essendo lui ebreo, fu costretto a dare le dimissioni ed andarsene. Dopo essere fuggito, giunse a Ginevra presso l’Institut universitaire des hautes études internationales. In questo periodo scrisse l’opera che più rispecchia il suo pensiero, ovvero la Reine Rechtslehre o Dottrina pura del Diritto. Successivamente nel1936, accettò la chiamata come docente ordinario di diritto internazionale presso l’Università di Praga. Nel 1938, dopo una serie di contestazioni naziste come quelle che lo avevano portato a fuggire da Colonia, lasciò la sua cattedra all’Università di Praga e nel 1940 si trasferì negli Stati Uniti. Passò due anni all’Harvard University, dopo di che si trasferì a Berkeley per insegnare alla University of California, dal 1945 al 1952.
In questo periodo Kelsen si dedicò molto al diritto internazionale, nel 1952 scrisse i Principles of International Law. Nonostante questo però, continuò sempre a dedicarsi alla sua teoria sul diritto e, desiderando confronti con l’ambiente giuridico americano, scrisse nel 1945 la General theory of law and State, ovvero la Teoria generale del diritto e dello Stato. Come risposta alle numerose critiche che via via gli erano state fatte, scrisse nel 1960 una seconda edizione della Reine Rechtslehre. Hans Kelsen morì a Berkeley, in California, il 19 aprile 1973. Nel 1979 venne pubblicata postuma la Allgemeine Theorie der Normen, o Teoria generale delle norme.
Il suo pensiero
Kelsen è noto come il capostipite novecentesco della dottrina liberal-democratica del diritto su base giuspositivista.
La dottrina pura del diritto
Di questo libro esistono due diverse edizioni, entrambe pubblicate a Vienna, la prima del 1934 e la seconda del 1960. Nonostante il titolo fosse lo stesso, il contenuto delle due opere era variato, comunque l’idea centrale del suo pensiero rimase una dottrina pura del diritto. L’aggettivo “puro”, essenziale per capire l’intero pensiero di Kelsen, sta a indicare una dottrina né ideologica (come nel giusnaturalismo) né empirica (come nel giusrealismo). Secondo Kelsen era necessario separare il diritto dalla natura da un lato, e dalla moralee dalla politica dall’altro. Kelsen arriva quindi alla conclusione che solamente se vengono attuate queste due separazioni si può ottenere una dottrina pura del diritto.
Parlando della separazione diritto-natura, Kelsen ci spiega che il diritto è un fatto sociale, un fenomeno che vive all’interno della società; la vita della società a sua volta è una delle tante espressioni della natura, che si presenta attraverso una serie di fatti privi di significato. Il diritto qualifica questi fatti con le norme; in questo modo si arriva alla conclusione che la caratteristica specifica del diritto è il suo essere qualificante. Se si studia il fenomeno giuridico sotto il profilo dei comportamenti con i quali ha a che fare, si ha la sociologia del diritto; se invece si studia il diritto come schema di qualificazione, si ha la dottrina pura del diritto. Secondo Kelsen quindi la prima e fondamentale distinzione da fare è quella tra sociologia e dottrina pura del diritto.
La seconda distinzione si ha quando si parla di diritto e quando si parla di valutazione etica della norma: una cosa è dire che una norma è giuridica, un’altra cosa è dire che una norma è giusta o ingiusta, opportuna o inopportuna. Kelsen dice che non è compito della dottrina pura del diritto studiare se una norma giuridica è giusta o ingiusta, opportuna o inopportuna: il compito di dire se una norma è giusta o ingiusta è affidato alla morale, mentre quello di dire se è opportuna o inopportuna è affidato alla politica, anche se si deve sempre distinguere dottrina pura da un lato, morale e politica dall’altro.
La nomostatica
La fase della nomostatica consiste nel prendere la struttura della norma considerata in sé stessa. Per delineare il carattere specifico della norma giuridica rispetto ai fatti naturalistici, bisogna considerare che la caratteristica di questi ultimi è di essere retti dal principio di causalità: a ogni causa segue un determinato effetto. Lo schema che usa Kelsen per spiegare questo rapporto di causa-effetto è: “se c’è A (causa) deve esserci (muss) B (effetto)”; lo schema invece usato per spiegare il rapporto giuridico, o rapporto di imputazione, è: “se c’è A1 deve esserci (soll) B1”.
La differenza tra i verbi “müssen” e “sollen” usati da Kelsen per spiegare i due tipi di rapporti sta nel fatto che il primo indica un dovere nel senso di necessità (fisica) assoluta, mentre il secondo indica un dovere nel senso di necessità giuridica (imputazione); secondo Kelsen inoltre il rapporto di imputazione è “chiuso” in se stesso, ovvero comincia da A e termina in B. Con questi schemi, Kelsen vuole parlare della distinzione tra rapporto di causalità e rapporto di imputazione a prescindere dai contenuti; questo perché la sua teoria del diritto è “pura”, quindi estranea a ogni contenuto naturalistico, politico o morale. Una caratteristica in comune tra i due tipi di rapporti è che, a prescindere dai contenuti, esprimono tutti e due la conseguenza di un certo oggetto, a un determinato oggetto che viene prima. Nonostante questo però, sul piano formale Kelsen non riesce a giustificare queste due distinzioni.
La nomodinamica
La nomodinamica deve spiegare in cosa consiste la validità di una norma, da un punto di vista però puramente formale, individuando prima di tutto la categoria della validità giuridica. La validità giuridica va distinta sia dall’efficacia della norma, sennò ci sarebbe confusione tra diritto e natura, sia dal valore della norma, sennò si confonderebbero diritto e morale. Per Kelsen una norma è giuridicamente valida se emanata in conformità con i criteri stabiliti dalla norma di grado immediatamente superiore. Si crea così una specie di piramide in cui ogni norma di grado inferiore è valida se è coerente con la norma di grado superiore: è questa la costruzione dell’ordinamento giuridico (Stufenbautheorie).
Una norma è valida anche indipendentemente dal suo valore etico-politico: una norma di legge, per essere una norma giuridicamente valida, anche se è del tutto ingiusta o senza efficacia, basta che sia emessa in modo conforme alla Costituzione; la validità della singola norma infatti, è costruita in base a un criterio puramente formale. Quando parliamo delle norme costituzionali, si deve determinare che non esistano altre norme al di sopra della Costituzione.
Secondo Kelsen, la “norma fondamentale” è alla base della validità delle norme costituzionali. Della “norma fondamentale” Kelsen parla in modo diverso nelle due edizioni della Dottrina Pura del Diritto:
- Nella prima edizione dice che questa Grundnorm è una norma non posta, ma presupposta: è quindi una norma della quale dobbiamo presupporre la validità.
- Dell’edizione del 1960 invece, il pensiero cambia sotto l’infuenza delle critiche del realismo giuridico, nel senso che la norma fondamentale è valida quando il complesso delle norme trova l’applicazione.
Questa spiegazione risulta però contraddittoria, perché o viene accettata la prima interpretazione cadendo però nella metafisica, o viene accettata la seconda interpretazione non salvaguardando però la dottrina “pura” del diritto. Alcuni critici accusano Hans Kelsen di “formalismo”, in relazione all’idea del giusfilosofo secondo cui se si discute della validitàdella Norma Fondamentale, anche l’atto fondativo dell’usurpatore (in quanto soggetto privo di legittimazione) va considerato come diritto, in quanto l’Ordinamento Giuridico non può chiudersi con un “fatto”. Ecco la considerazione della Norma Fondamentale come finzione.
Diritto soggettivo e Stato
Kelsen esamina anche il rapporto tra diritto e morale; egli afferma che il diritto appartiene al mondo del dover essere (Sollen), non al mondo dell’essere (Sein). Il diritto quindi appartiene alla sfera del dover essere, ma non nel senso giusnaturalistico di un diritto ideale cui si contrappone un diritto positivo, ma inteso come categoria a priori logico-trascendentale. All’interno dell’ordinamento giuridico si trova anche una distinzione tra diritto oggettivo e diritto soggettivo. Kelsen nella sua concezione normativistica, riduce la categoria del diritto soggettivo al diritto oggettivo, poiché crede che solo quest’ultimo esista.
Ma questo diritto oggettivo, può non solo comandare o vietare, ma anche autorizzare un certo comportamento, e nel momento in cui lo autorizza, determinate persone possono avanzare delle pretese che il diritto oggettivo stesso ha loro consentito. Kelsen si occupa anche della contrapposizione tra Stato e diritto; secondo lui, si deve attuare una radicale riduzione del diritto allo Stato, e dello Stato al diritto. Non può esistere uno Stato senza diritto, quindi il diritto è una realtà imprescindibile rispetto allo Stato e viceversa, non può esistere l’uno se non c’è l’altro. Nella Dottrina pura del diritto, quest’ultimo è coincidente con la volontà statale, quindi ecco emergere lo statalismo, ovvero far intervenire lo Stato in tutte le questioni economiche e sociali.
Il problema dell’interpretazione
L’ultimo grande problema di Kelsen è quello dell’interpretazione. Nel suo schema piramidale, l’interpretazione implica la scala discendente, e la validità implica la scala ascendente. Secondo Kelsen l’interpretazione si giustifica per il fatto che ogni norma superiore autorizzando o legittimando determinate norme di grado inferiore non le può determinare totalmente. Questo tipo di interpretazione però non è sempre chiara, poiché una legge può essere ambigua. Per questo motivo egli afferma che se da una certa legge si arriva a diverse interpretazioni a livello logico, queste sono tutte valide.
Per lui quindi l’interpretazione viene ridotta da atto teoretico-conoscitivo ad atto decisionale di volontà (bisogna tenere presente che secondo Kelsen l’unica soluzione per un’antinomia normativa è l’abrogazione di una o entrambe le norme). Parlando poi di criteri con i quali si sceglie una interpretazione piuttosto che un’altra, Kelsen riprende la distinzione avanzata dalla scuola neo-positivista, tra giudizi di fatto e giudizi di valore. I giudizi di fatto sono giudizi di esistenza, mentre i giudizi di valore esprimono una valutazione; i giudizi di fatto sono verificabili, quindi scientifici, i giudizi di valore no, poiché sono puramente emozionali, non scientifici.
Una cosa è dire che una norma giuridicamente esiste o non esiste, è valida o no, perché si resta in una serie di giudizi di fatto verificabili; un conto è dire che una norma è opportuna o inopportuna perché questo sarebbe un giudizio di valore, frutto dell’emozionalità, e quindi non verificabile. Questa distinzione però è stata criticata, perché se in una valutazione l’uomo si pone il problema dei fini per il loro raggiungimento deve fare un’opera di comparazione di fini diversi, e questo lato comparativo è razionale. Secondo i critici quindi non si può allontanare il mondo delle scelte dall’attività razionale.
Uno dei principali “avversari” di Kelsen fu Carl Schmitt. Una critica molto importante della concezione giuridica normativa di Kelsen è quella fatta da Alexander Hold-Ferneck, il quale mostra come il cosiddetto giuspositivismo di Kelsen è nei fatti soltanto del giusnaturalismo puramente formalizzato e desostanzializzato, “senza contenuti” (come scriveBruno Leoni), ma che resta pur sempre giusnaturalismo. Nel contesto culturale italiano le sue tesi furono molto criticate – in una prospettiva liberale ed individualista – da Bruno Leoni. Inoltre anche Santi Romano e Giuseppe Capograssi criticarono la teoria pura del diritto di Kelsen affermando, sia pure con ricostruzioni teoretiche differenti, che il diritto è frutto dell’evoluzione della società e della storia.
Bibliografia
- A.M. Hespanha, Introduzione alla storia del diritto europeo. Il Mulino, Collana: Le Vie Della Civiltà. Anno 2003.
- F. Todescan, Metodo, Diritto, Politica. Monduzzi Editore, Bologna, 1988.
Selezione di edizioni italiane delle opere di Kelsen
- La pace attraverso il diritto, a cura di Luigi Ciaurro, Giappichelli, Torino 1990.
- Teoria Generale delle Norme, a cura di Mario G. Losano, traduzione di M. Torre, Einaudi, Torino 1985.
- Lineamenti di dottrina pura del diritto, a cura di R. Treves, Einaudi, Torino, 1952.
- Società e Natura, a cura di L. Fuà, Einaudi, Torino 1953.
- La dottrina pura del diritto. Saggio introduttivo e traduzione di Mario G. Losano, Einaudi, Torino 1966.
- La Democrazia, trad. di Giorgio Melloni, Bruno Flery, Anna Maria Castronuovo, Il Mulino, Bologna 1985.
- Il problema della giustizia, a cura di Mario G. Losano. Nuova edizione, Einaudi, Torino, 1998.
- Teoria generale delle norme, a cura di Mario G. Losano. Traduzione di Mirella Torre, Einaudi, Torino, 1985.
- Hans Kelsen – Umberto Campagnolo, Diritto internazionale e Stato sovrano. A cura di Mario G. Losano. Con un inedito di Hans Kelsen e un saggio di Norberto Bobbio, Giuffrè, Milano 1999, XI-402 pp.
- Hans Kelsen – Umberto Campagnolo, Direito internacional e Estado soberano. Organizador Mario G. Losano. Com un texto inédito de Hans Kelsen e um ensaio de Norberto Bobbio. Tradução de Marcela Varejão, Martins Fontes, São Paulo 2002, XV-209 pp.
- Hans Kelsen – Umberto Campagnolo, Derecho Internacional y Estado Soberano. Un diálogo con Kelsen sobre paz, federalismo y soberanía. Mario G. Losano, Edición y estudio introductorio – Consuelo Ramón, Traducción al Castellano, Publicacions Universitat de València – Tirant lo Blanc, Valencia 2007, 214 pp.
- Lo Stato come Superuomo. Una risposta (1926), traduzione e cura di Antonino Scalone, Giappichelli Editore, Torino, 2002.
- Scritti autobiografici, traduzione e cura di Mario G. Losano, Diabasis, Reggio Emilia 2008
- Causalità e retribuzione, traduzione e cura di Fabrizio Sciacca, in “Filosofia politica”, 22:2 (2008).
Opere su Kelsen
- Norberto Bobbio, Diritto e potere. Saggi su Kelsen, Edizioni Scientifiche Italiane, 1992.
- Umberto Campagnolo, Conversazioni con Hans Kelsen. Documenti dell’esilio ginevrino 1933-1940. A cura di Mario G. Losano, Giuffrè, Milano 2010, XIX-295 pp.
- Uberto Scarpelli, Società e natura nel pensiero di Hans Kelsen, in “Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto” (1954), p. 767.
- Norberto Bobbio, Hans Kelsen, in “Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto” (1973), poi raccolto come Struttura e funzione nella teoria del diritto di Kelsen, in ID, Dalla struttura alla funzione. Nuovi studi di teoria del diritto, Milano: Edizioni di comunità (Diritto e cultura moderna, 18), 1977, p. 187.
- Orazio Condorelli, Il rapporto fra Stato e diritto secondo il Kelsen, in “Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto” (1923).
- Vittorio Frosini, Kelsen e Dante, in AA. VV., Scritti in memoria di Antonino Giuffrè, vol. I, Milano: Giuffrè, 1967, poi pubblicato come Autorità imperiale e libertà civile in Dante, in AA. VV., Dante e la Magna Curia, Palermo: Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 1967, p. 524, riprodotto come introduzione al volume KELSEN, La teoria dello Stato in Dante, cit., ripubblicato come Kelsen e Dante in V. Frosini, Saggi su Kelsen e Capograssi. Due interpretazioni del diritto, Milano: Giuffrè, 1988.
- Mario G. Losano, Forma e realtà in Kelsen,Comunità, Milano 1981, 229 pp.
- (trad. in spag.: Mario G. Losano, Teoría pura del derecho. Evolución y puntos cruciales, Tradución de Jorge Guerrero R., Temis, Bogotá 1992, XVI-267 pp.)
- Fabrizio Sciacca, Il mito della causalità normativa. Saggio su Kelsen, Torino: Giappichelli, 1993.
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