Antonio De Lisa- La musica su testi di Hölderlin
La poesia tragica di Hölderlin si situa all’incrocio di esperienze contraddittorie: il “divino” come ineffabile religioso e la conoscenza dialettica, la Begeisterung (ispirazione entusiastica) e la coscienza del divenire. Attraversa queste odi l’aspirazione a una palingenesi che saldi età e luoghi remoti come membra di un solo corpo.
Johann Christian Friedrich Hölderlin nasce a Lauffen sul Neckar, nel Württemberg, il 20 marzo 1770. Orfano del padre, Heinrich Friedrich, sovrintendente di un antico monastero locale, fu presto separato dalla madre, Johanna Christiane Heyn. Per le forti ascendenze paterna e materna si prospettò a Friedrich una educazione religiosa, con una decisiva tinta “pietistica”, destinata a sfociare in una carriera ecclesiastica. Nel 1783 si iscrisse alla “scuola di latino” di Nürtingen, dove maturò un vivo interesse per l’antichità classica. A Stoccarda superò onorevolmente il Landesexamen. Dall’ottobre del 1788 cominciò studi severi nello Stift (seminario protestante) di Tubinga, Nello Stift di Tubinga si legò di amicizia con i condiscepoli Schelling e Hegel. Studiò Platone, Kant, Spinoza, Rousseau, Hemsterhuis, Herder, Jacobi.
Nel 1793 fu abilitato all’ufficio di pastore, che tuttavia non volle mai esercitare avendo maturato un profondo risentimento contro la violenza dei pedanti e la religiosità ufficiale. A quell’anno risale l’entusiastica adesione agli ideali della libertà della rivoluzione francese. Trasferitosi a Jena, seguì le lezioni di Fichte e frequentò Schiller. A Weimar si incontrò con Goethe e Herder. Nel 1796 entrò come precettore dei figli nella casa del banchiere Gontard, a Francoforte, e si innamorò della coetanea Suzette, moglie del banchiere. Suzette fu la sua ispiratrice e il modello di “fanciulla greca” che, nelle sue opere, Hölderlin chiama Diotima. Dopo la forzata separazione da Suzette, Hoelderlin visse a Homburg (1800). Quindi raggiunse Hauptwyl, in Svizzera, dove per tre mesi (1801) fu precettore presso un commerciante. Chiesto inutilmente a Schiller un incarico di greco a Jena, si trasferì a Bordeaux, precettore nella casa del console di Amburgo. Lasciò Bordeaux il 9 maggio 1802, attraversò a piedi la Francia, diretto in Germania, e apprese durante il viaggio che Diotima era morta. Nel 1804 l’amico I. von Sinclair gli procurò un posto di bibliotecario; ma le sue condizioni mentali erano già minate dalla schizofrenia. A partire dal 1806, dopo un periodo di ricovero nella clinica psichiatrica dell’università di Tubinga, Hölderlin fu dato in custodia a un falegname, che lo alloggiò in una sua torre sulle rive del Neckar. Là visse per 37 anni in una condizione di mite demenza, suonando il pianoforte e scrivendo strani versi, che firmava con il nome di Scardanelli, trovandovi la morte nel 1843.
Il romanzo epistolare Hyperion oder der Eremit in Griechenland (Iperione o L’eremita in Grecia), ebbe una prima stesura nel 1793 e la stesura definitiva nel 1797-99. Iperione è un giovane greco, che si batte per l’indipendenza del suo paese, respinto dalla ferocia “terrena” della guerra. Morta l’amata Diotima, si rifugia in Germania, sede di un disumano attivismo e di una umanità alienata, promettendo a sé stesso un avvenire di poeta e di educatore. Bisogna ricordare che Hölderlin non visitò mai la Grecia né alcun altro paese mediterraneo. La sua era una conoscenza maturata sui libri, per esempio quello di Richard Chandler, Travel in Asia Minor, and Greece; or, An Account of a Tour, made at the Expense of the Society of Dilettanti, edita a Oxford nel 1775-76 o ancora quello di Choiseul-Gouffier, Voyage pittoresque de la Grèce, stampato a Parigi nel 1782. Un Fragment von Hyperion (Frammento di Iperione), relativo alla prima stesura del 1793 fu pubblicato nel 1794 sulla rivista letteraria Thalia edita da F. Schiller
Nella tragedia, Der Tod des Empedokles (La morte di Empedocle), giuntaci in tre redazioni successive (1797-99) e incompiuta, con il suicidio del filosofo greco Hölderlin rappresenta il desiderio di immolarsi per la redenzione degli uomini ma anche l’ambizione di uguagliarsi ai celesti.
La produzione lirica di Hölderlin comincia con inni di imitazione schilleriana, che cantano i grandi ideali dell’umanità, Hymne an die Menschheit (Inno all’umanità), 1791, Hymne an die Liebe (Inno all’amore), ma già nel periodo di Francoforte si avvicina ai metri della poesia classica antica. La natura diventa mallevatrice della liberazione dell’uomo dall’irrigidimento storico-sociale: Dem Sonnengott (Al dio del sole), Abendphantasie (Fantasia a sera). Attraverso riferimenti a figure della mitologia greca Hölderlin cerca di conferire concretezza a esperienze appartenenti al presente: Natur und Kunst oder Saturn und Jupiter (Natura e arte o Saturno e Giove). Nelle odi An die Parzen (Alle parche) e Hyperions Schicksalslied (Canto del destino di Iperione) si delinea la coscienza della propria tragica grandezza. Culmine del simbolico rapporto con il mondo antico è l’ode Der Archipelagus (L’arcipelago), 1800. Altre poesie, come Brot und Wein (Pane e vino), sono rivolte alla nazione tedesca e hanno come centro ispiratore il rapporto storico fra Oriente e Occidente, sapienza pagana e verità cristiana. Attraverso le strofe pindariche di Wie wenn am Feiertage… (Come in un giorno di festa …), 1800, il destino di Dioniso e quello del poeta si identificano. Di qui la tematica degli inni successivi, dove la Festa, la Redenzione, la Resurrezione vengono ad accompagnare le figure simboliche di Napoleone (il “conciliatore”), di Cristo (nunzio del divino), dell’Aquila giovannea, del Poeta. Sono le grandi liriche scritte fra 1801 e 1802: Der Einzige (L’unico), Der Rhein (Il Reno), Die Wanderung (La migrazione), Patmos (le cui successive redazioni testimoniano la discesa nella demenza). Verranno poi altri testi, talvolta di altissima qualità poetica, come Andenken (Ricordo), 1803, ma sempre più indecifrabili e sconnessi, frammenti emersi da una mente ormai ottenebrata.
Johannes Brahms lettore di Hölderlin
L’utilizzazione musicale di testi hölderliniani presenta una storia ricca ma non ricchissima di spunti. Innanzitutto vi è da segnalare Johannes Brahms, Schicksalslied, op. 54, per coro e orchestra, 1871. La sua ideazione risale all’estate 1868, fu terminato l’8 maggio 1871 a Lichtental vicino Baden-Baden. La prima esecuzione fu diretta dal compositore il 18 ottobre 1871 a Karlsruhe. Essa comprende il coro SATB, legni a due, 2 trombe, 2 corni, 3 tromboni, 3 timpani e archi. Fu pubblicata a Berlino nel dicembre 1871 da Simrock.
Lo Schicksalslied, momento centrale nell’opera corale di Brahms, pone un suggello, insieme al Triumphlied, al primo ciclo di opere per coro e orchestra nella produzione del compositore amburghese. Brahms vi adottò per la prima volta, in rapporto al testo, questa strana attitudine di contrasto e di opposizione che si sarebbe rivelata determinante nelle ultime opere dello stesso genere. In questo senso, lo Schicksalslied costituisce con Nänie e il Gesang der Parzen, composte dieci anni più tardi, un trittico rivelatore, di cui l’ispirazione è improntata alla visione romantica dell’antichità greco-romana. Queste opere s’iscrivono in una corrente intellettuale che pretendeva di vedere nella Germania l’eredità della Grecia antica e che aveva dato vita, nel campo della pittura e dell’architettura, al neoclassicismo.
Nel maggio 1870 Brahms annunciava a J.O.Grimm che aveva “dato un seguito alla Rhapsodie”. Certo, un raffronto tra le due opere è inevitabile: stessa soggettività, stesso piano tripartito, stesso equilibrio tra la seconda parte in Do minore e la conclusione, improntata alla speranza, in Do maggiore. Ma l’espressione individuale del dolore lascia il campo a un lamento universale, d’altra parte Brahms, che aveva trovato in Goethe una risonanza alle sue proprie aspirazioni, rigetta il fatalismo di Hölderlin. Così lo Schicksalslied è un’opera infarcita di contraddizioni, nata dalla passione di Brahms per il bel poema (derivato dal romanzo Hyperion) di cui il contenuto tuttavia – il Destino come lo concepiva l’Antichità greca – offuscava il suo credo più profondo: Hölderlin oppone alla felicità eterna degli dei (due strofe):
Ihr wandelt droben im Licht
Auf weichem Boden, selige Genien!
Glänzende Götterlüfte
Rühren Euch leicht,
Wie die Finger der Künstlerin
Heilige Saiten.
Schicksallos, wie der schlafende
Säugling, atmen die Himmlischen;
Keusch bewahrt
Im bescheidener Knospe
Blühet ewig
Ihnen der Geist,
Und die seligen Augen
Blicken in stiller,
Ewiger Klarheit.
la sorte dolorosa dell’umanità, gravata di un destino cieco, affacciata all’incognita dell’eternità (una strofa).
Doch uns ist gegeben,
Auf keiner Stätte zu ruhn;
Es schwinden, es fallen
Die leidenden Menschen
Blindlings von einer
Stunde zur andern,
Wie wasser von Klippe
Zu Klippe geworfen,
Jahr lang ins Ungewisse hinab.7
L’autore del Requiem tedesco non poteva condividere questa filosofia dove manca l’essenziale: la speranza del riposo, la consolazione. Da cui un rovesciamento di senso effettuato dalla musica: non potendo rimaneggiare il poema, Brahms lascia che l’orchestra concluda da sola, confidando alla sola musica il messaggio di speranza essenziale ai suoi occhi.
Lo Schicksalslied, tripartito, comprende due sezioni corali seguite da un postludio orchestrale. Il piano tonale inabituale è in sé indicativo: A è in Mi bemolle maggiore (la tonalità brahmsiana della leggerezza) e B al relativo Do minore. La conclusione orchestrale (che riprende A e che avrebbe dovuto, logicamente, riprendere egualmente la tonalità di Mi bemolle) è in Do maggiore: simbolizza la speranza apportata al mondo degli uomini.
La prima parte (A A’) raggruppa due strofe. L’introduzione orchestrale (lenta e nostalgica, in Mi bemolle maggiore nel ritmo di 4/4, di 28 misure) evoca “l’eterna felicità degli Dei”, è caratterizzata dal martellamento funebre dei timpani, le sordine agli archi e il Do bemolle improntato al modo minore. Poi i violini cantano un motivo delicato, nostalgico. Le dodici misure seguenti, dove si profilano già i temi cantati, si distendono dolcemente in una lunga cadenza. Le voci di contralto raddoppiate dagli archi cantano il tema sempre dolce “Ihr wandelt droben”, contrappuntato dal secondo tema orchestrale, un grazioso arabesco di flauti e oboi dove predominano le terzine.
Questa melodia eterea, senza bassi, è ripresa dal coro (archi con sordina e pizzicato dei gravi), che conclude pianissimo. Una modulazione improvvisa in Do maggiore introduce il secondo tema cantato (“Luminosi soffi divini avvolgono gli dei come le dita dell’artista le corde sacre”) – tema modulante ripreso in eco dai legni. Il terzo tema orchestrale in Si bemolle, molto lirico, è accompagnato dai pizzicati che evocano gli “accordi sacri” (della lira). Questi due motivi si confondono (incatenamento tritono-sesta con contrappunto dei violoncelli, mis. 56). La prima parte si conclude alla dominante. Un breve “ponte” di cinque misure (secondo tema orchestrale ai legni e primo tema vocale al corno) conduce la ripresa al tono principale dei due primi temi cantati su “Schicksallos”: simili al ragazzo innocente, gli dei non conoscono il destino doloroso. Il terzo tema orchestrale è ribadito dal coro (“Und die seligen Augenblicken”). L’ultimo verso, “Blicken in stiller, ewiger Klarheit”, è cantato a cappella. Otto misure d’orchestra, varianti dell’introduzione, concludono. Nelle ultime due misure ottoni e legni si rinviano una quinta diminuita minacciosa (Re-Fa-La bemolle) su un rullio di timpani che annuncia la caduta, lontana dalla chiarezza divina, verso il mondo oscuro degli uomini.
Formalmente la seconda parte (Allegro in Do maggiore in _) si apparenta alla sonata per via del lavoro di sviluppo seguito da una specie di riesposizione. Tutti gli effetti tragici sono ricavati da tre versioni dell’accordo di settima diminuita. Un’ondata furiosa, in semicrome degli archi all’unisono, prolunga il tritono ambivalente appartenente tanto al tono principale quanto al relativo minore; su “Uns” (noi: gli uomini) la sensibile Si naturale (nota-chiave della Rapsodia per contralto) impone chiaramente la tonalità di Do minore. Questo terzo tema vocale, cantato all’unisono su intervalli distesi, è portato dal movimento orchestrale di crome simbolizzanti l’impossibilità di trovare riposo.
Una terza aggiunta trasforma la quinta in settima diminuita (Si-re-Fa-La bemolle, poi La-Do-Mi bemolle- Sol bemolle). in un quadro apocalittico gli uomini ciechi (“blindlings”) scompaiono. Alla visione di esseri sballottati dal Destino (“Wie Wasser von klippe zu Klippe geworfen”), corrispondono le interiezioni in emiolia che movimentano il ritmo in 3/2. Dopo una misura di silenzio angosciante, un grido esprime l’orrore nei confronti dell’incertezza dell’Infinito (“Jahrlang ins Ungewisse hinab”). Il lavoro d’orchestra, costituito essenzialmente di arpeggi discendenti degli archi, prelude al lavoro di sviluppo polifonico sul terzo tema corale, discretamente accompagnato dai fiati Questo tema è riesposto nello spirito della sonata con le mutazioni tonali abituali; è seguito da una lugubre coda, dove il tema furioso in crome è come snervato, lentamente paralizzato. La coda, portatrice del messaggio di consolazione, riprende in Do maggiore il materiale della prima parte. La parentela del Schicksalslied con la Rapsodia per contralto si afferma qui (Brahms non indica d’altronde langsam, ma adagio). Il primo tema è evidenziato dal flauto. I timpani fatidici rivengono dolcemente nella conclusione trasfigurata.
Vocalità moderna e contemporanea in riferimento a Hölderlin
Tra i compositori che hanno musicato versi di Hölderlin ricordiamo: Max Reger, An die Hoffnung op. 124; Richard Strauss, Drei Hymnen op. 71, Kildmayer, Hans Werner Henze, Kammermusik 1958, per voce di tenore, chitarra (o arpa) e otto strumenti (cl., cor., fg., 2 vl., vla, vcl., cb.) su testo di F. Hölderlin: inno In lieblicher Bläue, 1958 (Edizione rivista 1963); Hans Werner Henze, Drei Fragmente nach Hölderlin, per voce e chitarra, da Kammermusik 1958; Bruno Maderna, Hyperion, lirica in forma di spettacolo di Bruno Maderna e Virginio Puecher con un testo di Friedrich Hölderlin e fonemi di Hans G. Helms, prima versione scenica eseguita il 6.10.64 al teatro La Fenice di Venezia per il XXVII festival Internazionale di Musica contemporanea della Biennale; Giacomo Manzoni, Hölderlin (Frammento), per coro e orchestra, 1972; Heinz Holliger, Die Jahreszeiten, Vier Lieder nach Gedichten von Scardanelli (Hölderlin), per coro misto: Der Frühling-Der Sommer-Der Herbst-Der Winter , 1975; Giacomo Manzoni, Hölderlin: epilogo, per dieci esecutori, 1980; Luigi Nono, Fragmente-Stille, an Diotima, per quartetto d’archi, 1980; Gyorgy Ligeti, Drei Phantasien nach Friedrich Hölderlin, per coro di 16 voci miste a cappella (testi di F. Hölderlin -I: Hälfte des Lebens (Lento); II: Wenn aus der Ferne (Andante con tenerezza); III: Abendphantasie (Maestoso-Più mosso, agitato)), 1982; Wolfgang Rihm, Hölderlin-Fragmente, per canto e orchestra, ; Luigi Nono, Prometeo. Tragedia dell’ascolto, prima rappresentazione 1984, seconda versione 1985;
Il compositore milanese Giacomo Manzoni nell’affrontare il suo Hölderlin (frammento) sembra affascinato dalla figura del poeta Hölderlin piuttosto che dal mito di Hyperion, che anzi trascura completamente.
Il testo di Hölderlin (frammento) musicato da Giacomo Manzoni
Freundliche Lachen ist auch nicht ferne.
spitzbübisch schkanisch
Lächeln, wenn dem Menschen
seine Kühnsten Hoffnungen
erfüllt werden
Und lustzuwandeln, zeitlos
denn es haben
Wie Wagenlauf uns falkenglänzend, oder
Dem Tierskampf gleich, als Muttermal
Bauen möcht
und neu errichten
des Theseus Tempel und die Stadien
und wo Perikles gewohnet
am stürzenden Strom
Die Städte.
Und Stuttgart, wo ich
Ein Augenblicklicher begraben
Liegen dürfte, dort,
Wo sich die Strasse
Bieget
Omnes homines sunt praecipue boni
Homines sunt praecipue tales, quomodo illi sunt inter se boni
Elysium
Dort find ich ja
Zu euch ihr Todesgötter
Dort Diotima Heroen.
Singen möcht ich von dir
Aber nur Tränen.
Und in der Nacht in der ich wandle erlöscht dein
Klares Auge!
himmlischer Geist.
…so hoffe ich, dass ich mein Leben vielleicht
ohne Gefahren und sämtliche Zweifel fortsetze
Tende Strömfeld Simonetta
Teufen Amyklä Aveiro am Flusse
Fouga die Familie Alencastro den
Namen davon Amalasuntha Antegon
Anathem Ardinghellus Sorbonne Cölestin
und Innozentius
Aloisia Sigea differentia vitae
urbanae et rusticae Thermodon
ein Fluss in Cappadocien Val-
telino Schönberg Scotus Schönberg Teneriffa
Sulaco Venafro
Gegend
des Olympos. Weissbrunn in Nieder-
ungarn. Zamora Jacca Baccho
Imperiali. Genua Larissa in Syrien
Krone auf dem Capitol
Tasso
politisch Sorgen herzungewisse
Joseph
Weltlauf und Gelehrtensentimentalität
Im Vorurteil des Moralisten gegen Friedrich
Im Gegenteil Rabener
So Mahomed, Rinald,
Barbarossa, als freier Geist
LUTHER
BUONARROTI
SCARDANELLI
EMPEDOKLES
Süss ists,
und genährt zu sein vom Schönen
Der Welt,
Denn
So schlägt die Leier Apoll.
Und zu schauen
Die Länder
Ist dir gegeben.
weil
Die Röhren des Lebens feuriger atmen
In den Schatten des Weinstocks. Aber
Schön ists, die Seele
Zu entfalten und das kurzen Leben
Mich auszudrücken ist mir so wenig gegönnt gewe-
sen im Leben, da ich mich in der Jugend gerne mit
Büchern beschäftiget
Ahnlich dem Manne, der Menschen frisset
Ist einer, der lebt ohne
(Liebe)
und vieles lernen
Wir aus der Zeit, die eilends sich verzehret.
Wildharrend in der furchtbaren Rüstung, Jahrtausende.
DER FRÜHLING
DER HERBST
BLEIBENDER WERT
DAS LEBEN
HÖHE DES MENSCHEN
Aber ich will nimmer leben
Schlafenden
brüllen
spielen
Mort und Tod!
Verzeihen Sie, wenn ich mich Ihnen nicht für Sie
sollte ganz verständlich machen können.8
Max Reger e Richard Strauss interpretano musicalmente i versi del poeta da un punto di vista tardo-romantico, mentre i compositori più vicini a noi nel tempo sembrano aderire più intimamente alla sostanza tragica del poeta tedesco. Hölderlin viene visto come una figura emblematica della modernità, scisso nella tensione alla conquista di un’armonia non più possibile. La musica si incarica di rivelare le fibre nascoste di questo dissidio, talvolta fino a nascondere i versi del poeta sotto un velo di significati arcani e oscuramente musicali, come fa Luigi Nono in Fragmente-Stille, an Diotima, un quartetto d’archi scritto nel 1980, in cui non c’è una voce che canta il testo. Le parole sono stese in partitura come traccia di significato, gioco allusivo e reservato nei confronti di chi suona piuttosto che di chi ascolta. Nono utilizzerà le parole del poeta prediletto anche nel suo Prometeo. Tragedia dell’ascolto, dove racconta l’impossibilità di ogni eroismo in un’epoca votata ad altri ideali.
Il testo-montaggio di Giacomo Manzoni, che abbiamo voluto riportare per la sua bellezza e pregnanza in un senso poetico, è emblematico di un’appropriazione profonda e significativa del percorso letterario e umano del poeta tedesco. Il compositore milanese usa parole e coro, ma immergendo il senso delle parole hölderliniane in un fitto intreccio verticale di combinazioni sonore, che lasciano filtrare a chi ascolta la percezione di un dramma e di un dissidio la cui risoluzione trova una possibilità nella mente libera di un nuovo ascoltatore, capace di articolare dramma e liberazione.
NOTE
7) “Voi errate lassù nella luce / su un suolo soffice, geni beati! / Radiosi soffi divini / vi sfiorano leggermente, / come le dita dell’artista / le corde sacre.
“Affrancati dal fato, simili a un neonato / che dorme, respirano gli esseri celesti; / castamente serbato / in un umile bocciolo, / fiorisce in loro / in eterno lo spirito, / e gli occhi beati / rifulgono in quieto, / eterno chiarore.
“Ma a noi non è dato / di trovar mai pace in nessun luogo; / trapassano, precipitano / ciecamente da un’ora / all’altra / gli uomini sofferenti, / come acqua sbalzata / di scoglio in scoglio, / anno dopo anno, negli abissi dell’incerto”.
8) “Affabile riso anche non è lontano. – bricconesco, scànico – sorriso, quando all’uomo – le più ardite speranze – si adempiono – E vagabondare, senza tempo – poiché ci hanno – quale corsa di carri con lampi di falchi, o come – lotta di fiere, come veglia materna – Vorrei edificare – e di nuovo erigere – il tempio di Teseo e gli stadi – e dove Pericle dimorò – sul fiume impetuoso – le città – E Stoccarda. dove io, – momentaneo, speolto – giacere poteri, là, – dove la strada – s’incurva – Omnes homines sunt praecipue boni – Homines sunt praecipue tales, quomodo illi sunt inter se boni – Elisio – là sì saprò giungere – a voi, voi dei della morte – là Diotima eroi – Cantare vorrei di te – ma soltanto lagrime. – E nella notte in cui erro si spegne il tuo – occhio chiaro! – spirito celeste. – …così spero di continuare forse la mia vita – senza pericoli e tutti quanti i dubbi – Tenda Strömfeld Simonetta – Teufen Amicla Aveiro sul fiume – Vouga la famiglia Alencastro – il suo nome Amalasunta Antigone – Anatema Ardighello Sorbona celestino – e Innocenzo – Aloisia Sigea differentia vitae – urbanae et rustice Termodonte – fiume della Cappadocia Val- – tellina Schönberg Scoto Schönberg Teneriffa – Sulaco Venafro – contrada – dell’Olimpo. Weissbrunn in Bassa – Ungheria. Zamora Jacca Baccho – Imperiali. Genova Larissa in Siria – Corona sul Campidoglio – Tasso – cure politiche a cuore esitante – Giuseppe – corso del mondo e sentimentalismo da eruditi – nel pregiudizio del moralista contro Federico – invece Rabener – Così Maometto, Rinaldo, – Barbarossa spirito libero – LUTERO – BUONARROTI – SCARDANELLI – EMPEDOCLE – È dolce, – ed esser nutrito dal bello – del mondo, – poiché – così Apollo tocca la lira. – E guardare – le terre – ti è dato. – poiché – le vene della vita più infuocate respirano – all’ombra della vite. Ma – è bello, dispiegare – l’anima e la breve vita – Nella vita mi è stato concesso così poco di esprimermi, – dato che in gioventù mi sono occupato molto di libri – Simile all’uomo che divora uomini – è colui che vive senza – (amore) – e molto impariamo – dal tempo, che precipitosamente si divora: – Attendendo feroci, nella tremenda armatura, millenni. – LA PRIMAVERA – L’AUTUNNO – DUREVOLE VALORE – LA VITA – NOBILTÀ DELL’UOMO – Ma io non voglio più vivere – a dormienti – ruggire – giocare – assassinio e morte! – Scusatemi, se io non dovessi da voi – farmi completamente poter capire.” (Traduzione di Giacomo Manzoni).
Riferimenti bibliografici:
Calvin S. Brown, Musica e letteratura. Una comparazione delle arti, Lithos editrice, Roma 1996 (“Gaia”, Studi di Letteratura comparata a cura di Armando Gnisci e Franca Sinopoli), titolo originale: Music and Literature – A Comparison of the Arts, University of New England, Hanover and London 1987 (I ed. 1948)
Vittorio Coletti, Da Monteverdi a Puccini. Introduzione all’opera italiana, Einaudi, Torino 2003.
Gilles de Van, L’opera italiana. La produzione, l’estetica, i capolavori, Carocci, Roma 2002 (titolo originale: L’opéra italien, Presses Universitaires de France, Paris 2000).
Rita Garlato, Repertorio metrico verdiano, Marsilio, Venezia 1998 (“Musica critica” a cura di Mario Messinis e Giovanni Morelli).
I. Bonomi, Il docile idioma. L’italiano lingua per musica, Bulzoni, Roma 1998.
Marchese, L’officina della poesia. Principi di poetica, Mondadori, Milano 1985.
Antonio De Lisa
© Copyright 2013
Tutti i diritti riservati
—
CRONACA E STORIA
SEZIONE MUSICA
Testi pubblicati per studio e ricerca – Uso non commerciale
Texts published for study and research non-commercial use
© Copyright 2010-13 – Rights Reserved
This opera is licensed under a Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 3.0 Unported License.
Categorie:Senza categoria
Rispondi