Le funzioni del linguaggio di Roman Jakobson

Le funzioni del linguaggio

di Roman Jakobson

Roman Jakobson, filologo, linguista e critico russo (Mosca 1896 – Boston 1982). Iniziò gli studi di linguistica comparata e di filologia slava a Mosca, assecondando al contempo la sua passione per la poesia e frequentando così i migliori poeti dell’avanguardia russa, come Majakovskij ed Elsa Triolet, ai quali si legò con profonda amicizia. Fu animatore e fondatore, a soli 19 anni, del Circolo linguistico di Mosca, che aveva come scopo lo studio della linguistica, della poesia, della metrica e del folclore, e all’interno del quale si svilupparono le tesi del formalismo russo. In quegli anni, venne a conoscenza degli studi di Ferdinand de Saussure e iniziò ad elaborare i concetti di quella che sarà poi la sua teoria della comunicazione. Il 1920 fu, per la Russia, un anno politicamente difficile e Jakobson fu costretto a trasferirsi a Praga per continuare i suoi studi di dottorato. A Praga iniziò a insegnare e a lavorare agli abbozzi della sua fonologia con l’amico Troubetzkoy, intrattenendo rapporti anche con Carnap. Qui, si affiancò al suo più anziano collega Vilelm Mathesius, con il quale fondarono il circolo linguistico della Scuola di Praga (1926). Al PLK (pražský lingvistický kroužek – circolo linguistico di Praga) si aggregarono altri due ex-membri della scuola di Mosca: Nikolaj Trubeckoj, Sergej Karcevskij, ma anche l’anglista Bohumil Trnka, lo slavista e boemista Bohuslav Havránek, e il celebre studioso di estetica Jan Mukařovský. Lavorò alla redazione delle tesi del Circolo (1929) concernenti la fonologia e le funzioni del linguaggio. Nel 1933, durante il periodo di insegnamento a Brno (Cecoslovacchia), accolse definitivamente i principi della linguistica strutturale. L’esplosione del secondo conflitto mondiale e la barbarie nazifascista costrinsero Jakobson a rifugiarsi prima in Scandinavia e poi a lasciare definitivamente l’Europa alla volta degli Stati Uniti d’America. Qui ebbe modo di frequentare molti linguisti americani e antropologi come Franz Boas, Benjamin Whorf e Leonard Bloomfield. Nel 1941 insegnò all’Università francese di New York, dove incontrò Levy-Strauss, e poi alla Columbia University. Dal 1949 al 1957 fu a Harvard; nel 1957 ottenne una cattedra al Massachusetts Institute of Technology, dove, fra gli altri, sarebbe stato suo allievo N. Chomsky. In questi anni si occupò di semantica, della tradizione epica russa, di mitologia comparata indoeuropea; allo stesso tempo Jakobson approfondiva i suoi nuovi interessi in direzione della cibernetica, della psicologia, della neurologia, della biologia, della psicanalisi e delle arti visive. Secondo Jakobson, fattori come la sonorità, la gravità, la tensione, sarebbero universali fonologici, differendo nelle diverse lingue soltanto a causa della loro diversa combinazione. Per quanto concerne l’apprendimento linguistico, è Jakobson a notare che l’apparizione progressiva dei fonemi nell’infante avviene secondo un ordine preciso: per primi i fonemi in cui compaiono la vocale a e le consonanti labiali m, p e, solo più tardi, i fonemi comprendenti i/e e k/g; questi fonemi e questa precisa successione si riscontrerebbero, secondo Jakobson, in tutte le lingue secondo leggi fonologicamente universali. Jakobson precisò inoltre i concetti linguistici di metafora (selezione di unità simili) e metonimia (selezione di unità vicine). In tutte le sue opere l’accento è costantemente posto sulla comunicazione e sulle funzioni del linguaggio: esso può essere referenziale (messaggio come contenuto); emotivo; fatico, per mantenere il contatto tra i due interlocutori; poetico; metalinguistico, per l’esplicitazione o spiegazione del codice linguistico stesso.

Scrisse nel 1923 Sul verso ceco; nel 1929 Il folklore come un particolare modo di creazione, in collaborazione con Petr Grigorevič Bogatyrev; nel 1931 Principi di fonologia storica; nel 1941 Linguaggio infantile, afasia e leggi fonetiche universali; nel 1945 Sulle fiabe russe e Gli inizi dell’autodeterminazione nazionale in Europa; nel 1949 Sulla teoria delle affinità fonologiche tra le lingue; nel 1955 L’afasia come problema linguistico; nel 1966 Alla ricerca dell’essenza del linguaggio (sulla rivista “Diogènes”); e tra gli anni 1962 e 1982 la sua raccolta più conosciuta, i Saggi di linguistica generale, comprendente diversi articoli apparsi su riviste, tra cui:

Antropologi e linguisti: bilancio di un convegno (1953)

Fondamentali del linguaggio (1956)

Gli studi tipologici e il loro contributo alla linguistica storica comparata (1958)

Aspetti linguistici della traduzione (1959)

Linguistica e teoria della comunicazione (1961)

Commutatori, categorie verbali e il verbo russo (1957)

La nozione di significato grammaticale secondo Boas (1959)

Linguistica e poetica (1960)

A guisa di prefazione (1966, premessa all’ed. italiana).

Struttura del linguaggio

La sua teoria più nota è un modello generale per la comunicazione linguistica, che integra modelli precedenti di Karl Bühler e Bronisław Malinowski, proponendo la suddivisione delle funzioni del linguaggio in sei parti:

  1. Funzione emotiva
  2. Funzione fàtica
  3. Funzione conativa
  4. Funzione poetica
  5. Funzione metalinguistica
  6. Funzione referenziale

La funzione emotiva è incentrata sull’emittente. Viene posta in essere quando l’emittente dell’atto linguistico ha come fine l’espressione dei suoi stati d’animo (per questo è stata imparentata al discours di Émile Benveniste e usata nella poesia lirica). La funzione fàtica è incentrata sul canale di comunicazione. Essa si realizza quando un partecipante dell’atto di comunicazione desidera controllare se il canale è, per così dire, aperto (esempio: domande del tipo “Mi segui?, mi ascolti?”). La funzione conativa è focalizzata sul ricevente. Essa avviene quando tramite un atto di comunicazione l’emittente cerca di influenzare il ricevente, come per esempio in un ordine (esempio: “Va’ da lei!”) o nei casi linguistici del vocativo e dell’imperativo. La funzione poetica è incentrata sul messaggio e valorizza il piano del significante. Avviene quando il messaggio che l’emittente invia all’ascoltatore ha una complessità tale da obbligare il ricevente a ridecodificare il messaggio stesso (ne sono un esempio molte frasi pubblicitarie o frasi di poesia del tipo “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura”). La funzione metalinguistica è quella riferita al codice stesso. Ossia quando il codice “parla” del codice (un esempio lampante sono le grammatiche o le didascalie in un testo teatrale). La funzione referenziale infine è incentrata sul contesto. Essa è posta in essere quando viene data un’informazione sul contesto (esempio: “L’aereo parte alle cinque e mezza”) e viene imparentata al récit di Benveniste.

Jakobson: lo schema della comunicazione e le funzioni del linguaggio (dai Saggi di linguistica generale

LA COMUNICAZIONE E LE FUNZIONI DEL LINGUAGGIO                       

Il mittente invia un messaggio al destinatario. Per essere operante, il messaggio richiede in primo luogo il riferimento a un contesto (il “referente”, secondo un’altra terminologia abbstanza ambigua), contesto che possa essere afferrato dal destinatario, e che sia verbale, o suscettibile di verbalizzazione; in secondo luogo esige un codice interamente, o almeno parzialmente, comune al mittente e al destinatario (o, in altri termini, al codificatore e al decodificatore del messaggio); infine un contatto, un canale fisico e una connessione psicologica fra il mittente e il destinatario, che consenta loro di stabilire e di mantenere la comunicazione (…)

Ciascuno di questi fattori dà origine ad una funzione linguistica diversa. Sebbene distinguiamo sei aspetti fondamentali del linguaggio, difficilmente potremmo trovare messaggi verbali che assolvano sltanto una funzione. La diversità dei messaggi non si fonda sul monopolio dell’una o dell’altra funzione, ma sul diverso ordine gerarchico fra di esse.

(da: Jakobson, R., 1963, Essais de linguistique générale, Paris, Minuit; trad. it. Saggi di linguistica generale, Milano, Feltrinelli, 1966, pp. 185-186).

Jakobsonalcuni esempi sulla funzione poetica e l’analisi dello slogan “I like Ike” (dai Saggi di linguistica generale).

                         LA FUNZIONE POETICA PER JAKOBSON                       

“Perché dici sempre Gianna e Margherita e mai Margherita e Gianna? Preferisci Gianna alla sua sorella gemella?” – “Niente affatto, ma così suona più gradevolmente.” – In una successione di due nomi coordinati, e quando non interferisca un problema di gerarchia, il parlante sente inconsciamente, nella precedenza data al nome più corto, la miglior configurazione possibile del messaggio. Una ragazza parlava sempre dell'”orribile Oreste”. “Perché orribile?” “Perché lo detesto”. “Ma perché non terribile, tremendo, insopportabile, disgustoso?” “Non so perché, ma orribile gli sta meglio.” (…)

Analizziamo brevemente lo slogan politico I like Ike (/ay layk ayk/): nella sua struttura succinta è costituito da tre monosillabi e contiene tre dittonghi /ay/, ciascuno dei quali è seguito simmetricamente da un fonema consonantico, /…l…k…k/. La disposizione delle tre parole presenta una variazione: nessun fonema consonantico nella prima parola, due intorno al dittongo nella seconda, e una consonante finale nella terza. Hymes ha notato un analogo nucleo dominante /ay/ in alcuni sonetti di Keats. I due cola della forma trisillabica I like / Ike rimano fra loro, e la seconda delle due parole in rima è completamente inclusa nella prima (rima ad eco): /layk/ – /ayk/; immagine paronomastica d’un sentimento che inviluppa totalmente il suo oggetto. I due cola formano un’allitterazione, e la prima delle due parole allitteranti è inclusa nel secondo: /ay/ – /ayk/, immagine paronomastica del soggetto amante involto nell’oggetto amato. La funzione poetica secondaria di questa formula elettorale rafforza la sua espressività ed efficacia.

(da: Jakobson, R., Essais de linguistique générale, Paris, Minuit; trad. it. Saggi di linguistica generale, Milano, Feltrinelli, 1966, p. 190).

Bibliografia italiana

Cantare della gesta di Igor: epopea russa del XII secolo, a cura di Renato Poggioli, testo critico annotato di Roman Jakobson, Einaudi, Torino 1954

Saggi di linguistica generale, a cura di Luigi Heilmann, Feltrinelli, Milano 1966 e seguenti

Aspetti linguistici della traduzione in “il Verri”, 19, 1966, pp. 98-106; poi in Paolo Fabbri e Gianfranco Marrone (a cura di), Semiotica in nuce, vol. I, Meltemi, Roma, 2000, pp. 208-213

Verso una scienza dell’arte poetica, prefazione a I formalisti russi: teoria della letteratura e metodo critico, a cura di Tzvetan Todorov, Einaudi, Torino, 1968, pp. 7-11

Il realismo nell’arte, ivi, pp. 95-107

Problemi di studio della letteratura e del linguaggio (con Jurij Nikolaevič Tynjanov), ivi, pp. 145-149

Il farsi e il disfarsi del linguaggio: linguaggio infantile e afasia, Einaudi, Torino 1971; n. ed. con introduzione di Livio Gaeta, ivi, 2006

Linguistica e poetica, in Luigi Rosiello (a cura di), Letteratura e strutturalismo, Zanichelli, Bologna 1974, pp. 71-82

Una generazione cha ha dissipato i suoi poeti: il problema Majakovskij, a cura di Vittorio Strada, Einaudi, Torino 1975; SE, Milano 2004

Premesse di storia letteraria slava, a cura di Lidia Lonzi, Il Saggiatore, Milano 1975

Holdërlin: l’arte della parola, con la collaborazione di Grete Lübbe Grothues, introduzione di Carlo Angelino, Il Melangolo, Genova 1976

La linguistica e le scienze dell’uomo: sei lezioni sul suono e sul senso, introduzione di Claude Lévi-Strauss, Il Saggiatore, Milano 1978

Lo sviluppo della semiotica e altri saggi, introduzione di Umberto Eco, Bompiani, Milano 1978

Lingua, discorso, società, con altri, a cura di Daniele Gambarara, Pratiche, Parma 1979

La forma fonica della lingua, con Linda R. Waugh e Martha Taylor, introduzione di Cesare Segre, Il Saggiatore, Milano 1979

Magia della parola, a cura di Krjstjna Pomorska, Laterza, Bari 1980

Poetica e poesia: questioni di teoria e analisi testuali, introduzione di Riccardo Picchio, Einaudi, Torino 1985

La scienza del linguaggio: tendenze principali, trad. di Ottavio Fatica, Theoria, Roma 1986

Autoritratto di un linguista: retrospettive, a cura di Luciana Stegagno Picchio, Il Mulino, Bologna 1987

Russia, follia, poesia, a cura di Tzvetan Todorov, Guida, Napoli 1989

Dialoghi: gli ultimi suoni del Novecento, con Krystyna Pomorska, Castelvecchi, Roma 2009

La fine del cinema?, a cura di Francesca Tuscano, BookTime, Milano 2009

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