La medicina tradizionale araba

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La medicina tradizionale araba

La medicina Araba ha avuto inizio con Maometto, infatti norme di prevenzione, eugenetica e terapia sono contenute nel Corano.
La terapeutica ha una fondamentale matrice religiosa. I farmaci sono soprattutto d’origine vegetale e minerale, anche se uno spazio rilevante è riservato alla zooterapia. Inoltre numerosissime sono le fonti e sorgenti salutari, le cui proprietà terapeutiche sono riconosciute dai più lontani tempi.

La farmacologia è stata sempre molto coltivata. Nuove piante medicinali sono state introdotte e così pure nuovi prodotti chimici ad uso medicinale, per l’attenzione rivolta dagli Arabi alla alchimia, quindi alla chimica. Il sublimato, il precipitato rosso, il nitrato d’argento, provengono dalla farmaco-alchimia araba. Molte delle nostre preparazioni farmaceutiche portano nomi arabi: elisir, giulebbe, sciroppo, canfora, nafta e anche operazioni farmaceutiche, ovvero originariamente alchimistiche, come il bagnomaria, la digestione, la distillazione a mezzo alambicco. Attentamente codificata è la professione medica e numerose sono le figure dei terapeuti. Estratto dal volume di Antonio Scarpa “Itinerario per la visita al Museo di Etnomedicina – Collezioni Antonio Scarpa”, Erga edizioni, Genova, 1994. “Oggi in tutti i Paesi in cui vivono Musulmani, e non solo in Africa, viene seguita quella medicina tradizionale che era fiorente dal secolo X a tutto il XII in tutte le contrade abitate e conquistate dagli Arabi. La stessa che era predicata e praticata dagli antichi medici (Rhazès, Avicenna, Mèsue nel mondo arabo orientale; Abulcasis, Averroè, Maimonide in quello occidentale, con epicentro Cordova)…

Nel dottrinario della loro medicina, che era greca, gli Arabi vi introdussero nuovi elementi, prima di tutto quello astrologico. Incominciano, poi, a descrivere le prime malattie (vaiolo e scarlattina ad opera di Rhazès). …E’ araba la terapia preziosa, tuttora in auge, basata sull’uso delle gemme, dell’oro potabile, delle perle, e quella che era creduta agire in merito di virtù nascoste, come la cura con le pietre magiche, oggi pure diffusissima. La psicoterapia era ed è correntemente e largamente applicata : cioè curare senza farmaci, solo con l’ilaaj nafsani o tabdir nafsaaniy come dicono gli Arabi. Numerosissime sono inoltre le fonti salutari, conosciute sin dai più lontani tempi per le virtù terapeutiche delle loro acque e che spesso si trovano dentro o nei pressi di una moschea o di un marabutto, che è la tomba di un santone. Questa medicina, di cui abbiamo messo in evidenza i tratti principali, vive tutt’oggi immutata nel popolo che le dette origine. Essa viene professata in mille forme e con mille mezzi da un’infinità di personaggi che spesso hanno poco a che vedere con il medico o con il farmacista, intesi questi secondo il nostro punto di vista.

Non vi è altra via, se ammalati, che ricorrere subito al fghîh, che significa versato nel figh, “scienza della legge canonica” ; ma poi la parola è passata a indicare il medico empirico, il fattucchiere e chi sa buona parte del Corano a memoria o leggere e scrivere. Troviamo poi il tabib, cioè il medico empirico. La preparazione di costoro avviene, per lo più, leggendo e rileggendo qualche vecchio manoscritto o qualche antico libro di medicina araba, ristampati oggi, a buon mercato, nelle tipografie del Cairo, di Algeri, di Casablanca. Spesso si tratta di manoscritti di antichi autori arabi, annotati ed aggiornati, da più moderni e contemporanei tabib. La lettura viene fatta senza alcun commento e ciò che si legge viene appreso come verità indiscussa. La professione è per lo più familiare.
Oltre al tabib, abbiamo in Africa del nord i Saydli, cioè i farmacisti. Si possono considerare saydli gli erboristi veri e propri dotati di una reale conoscenza delle più comuni piante medicinali, delle loro virtù curative e dei loro metodi di preparazione.

Un altro caratteristico tipo di “farmacista” lo si incontra specialmente nei suq delle vecchie città marocchine. E’ un po’ venditore di rimedi per tutti i mali, un po’ commerciante delle più svariate cose, un po’ fattucchiere. Le medicine che vi si trovano appartengono ai tre regni della natura, ma accanto a queste medicine vere e proprie, si trova tutto un armamentario indispensabile alle pratiche magiche e di stregoneria, e quindi pelli e parti disseccate di vari animali selvatici, di serpenti, di volpi, di sciacalli, di porcospini, rostri e penne di uccelli rari, artigli di rapaci, uromastici, camaleonti, ecc. Consigli medici e medicine vengono inoltre dati in tutta l’Africa dai marbut uomini pii, dediti alle pratiche religiose, spesso eremiti, che godono grandissimo ascendente presso le tribù arabe, perché creduti prediletti di Allàh, sapienti e dotati di virtù portentose. Né si possono passare sotto silenzio i ghenana, danzatori infaticabili, ai quali vengono attribuite virtù portentose, tra le quali la guarigione di ammalati, o di far cessare la siccità. Sono allora gli interessati, o i parenti del malato, che organizzano, a loro spese, queste danze propiziatorie. Come nella nostra antica medicina, un posto importante nella medicina araba occupano i barbieri, i quali praticano correntemente la chirurgia dentaria e fanno circoncisioni, causticazioni ignee e salassi. Per ciò che riguarda l’etiologia delle malattie, i djinn, cioè gli spiriti maligni, e il malocchio occupano il primo posto. I cessi, le fogne, i pozzi sono la dimora abituale deidjinn. I djinn si placano, specialmente, bruciando profumi nel kanun (fornello), che si porrà, successivamente, nei quattro lati del luogo che si vuole disinfestare. Se i profumi non bastano, il fghîh scriverà l’higâb, cioè una scrittura amuleto, che di solito è un verso del Corano o una frase magica. L’amuleto verrà portato al collo in apposite custodie, oppure bruciato e la sua cenere bevuta con acqua, con l’intenzione che nel corpo entri il potere magico della scrittura. Qualche volta la frase magica viene scritta su di un piatto che deve essere nuovo. La scritta è poi lavata con acqua piovana che viene bevuta. Nel caso di un ammalato, allo scritto si aggiunge il suo nome, quello della mamma e la data di nascita. Si fa poi la somma di tutte le lettere che formano le parole dell’amuleto. Se nel Kitab-et-ta-briz (libro per indicare la ventura), il numero viene a trovarsi nella “tavola della vita”, l’ammalato guarirà, se invece cade nella “tavola della morte”, morirà. Il malocchio è dato da emanazioni deleterie, provocate da certi individui, anche inconsciamente. Per fortuna vi sono altre persone e animali e piante e cose che emanano la bàraka, che sarebbe un contro-malocchio.

Poiché l’Arabo del popolo non fa distinzione fra dolori fisici e dolori morali, è sempre pronto a chiedere al soprannaturale quegli effetti che, secondo lui, la vera e propria medicina degli uomini non può dare. Sullo sfondo galenico, quindi, che caratterizza la medicina tradizionale araba, ha fatto buona presa la magìa. La magìa è più o meno praticata da tutti i guaritori dei mali sovrammenzionati, trova i suoi “specialisti” non nei mercati all’aria aperta o nei movimentati suk delle grandi città, ma in angoli reconditi delle “Medine” o in qualche località isolata delle oasi dell’interno. Questi hanno una clientela specialmente femminile : fattucchieri e fattucchiere sono, infatti, insuperabili nel preparare filtri d’amore soprattutto. Per esempio, in Algeria, fra questi è largamente consigliato ed usato il mardud zurga, cioè un cuscus (piatto nazionale arabo) speciale, “preparato dalla mano di un morto”. Bisogna all’uopo recarsi al cimitero di notte, dissotterrare la mano di un morto recente e far mestare e rimestare a questa il cuscus preparato in precedenza a casa. Questa pietanza così manipolata, viene data da mangiare dalle donne gelose al marito o al fidanzato infedele. Nella “terapia magica” araba grandissima importanza hanno i cimiteri la cui terra viene inghiottita come medicina e le vecchie tombe abbandonate.”


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Fonte: Museo di Etnomedicina “A. Scarpa”- Università di Genova http://www.etnomedicina.unige.it/area2.php?areatematica=30

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