Storia di Muḥammad, il sigillo dei profeti

 

Maometto (arabo: ﺍﺑﻮ ﺍﻟﻘﺎﺳﻢ محمد بن عبد الله بن عبد ﺍﻟﻤﻄﻠﺐ ﺍﻟﻬﺎﺷﻤﻲ , Abū l-Qāsim Muḥammad ibn ʿAbd Allāh ibn ʿAbd al-Muţţalīb al-Hāshimī; La Mecca, 570 circa – Medina, 8 giugno 632) è stato il fondatore e profeta dell’Islam[1] ed è considerato dai musulmani l’ultimo esponente di una lunga tradizione profetica all’interno della quale occuperebbe una posizione di assoluto rilievo[2]Messaggero di Dio (Allah) e Sigillo dei profeti (Khāṭim al-anbiyāʾ), per citare solo due degli epiteti onorifici che gli sono tradizionalmente riferiti, sarebbe stato incaricato da Dio stesso – attraverso l’arcangelo Gabriele – di divulgare il suo verbo tra gli Arabi[3].

Maometto (che nella sua forma originale araba significa “il grandemente lodato“)[4] nacque in un giorno imprecisato (che secondo alcune fonti tradizionali sarebbe il 20 o il 26 aprile di un anno parimenti imprecisabile, convenzionalmente fissato però al 570[5]) a Mecca, nella regione peninsulare araba del Hijaz, e morì il lunedì 13 rabīʿ I dell’anno 11 dell’Egira (equivalente all’8 giugno del 632[6]) a Medina e ivi fu sepolto, all’interno della casa in cui viveva. Sia per la data di nascita, sia per quella di morte, non c’è tuttavia alcuna certezza e quanto riportato costituisce semplicemente il parere di una maggioranza relativa, anche se sostanziosa, di tradizionisti.

La sua nascita sarebbe stata segnata, secondo alcune pie tradizioni, da eventi straordinari e miracolosi.[7]

Appartenente a un importante clan di mercanti, quello dei Banu Hashim, componente della più vasta tribù dei Banu Quraysh di Mecca, Maometto era l’unico figlio di ʿAbd Allāh b. ʿAbd al-Muṭṭalib ibn Hāshim e di Āmina bint Wahb, figlia del sayyid del clan dei Banu Zuhra, anch’esso appartenente ai B. Quraysh.

Orfano fin dalla nascita del padre (morto a Yathrib al termine d’un viaggio di commercio che l’aveva portato nella palestinese Gaza), Maometto rimase precocemente orfano anche di sua madre che, nei suoi primissimi anni, l’aveva dato a balia a Ḥalīma bt. Abī Dhuʿayb, della tribù dei Banū Saʿd b. Bakr, che effettuava piccolo nomadismo intorno a Yathrib.

A Mecca – dove, alla morte della madre, fu portato dal suo primo tutore, il nonno paterno ʿAbd al-Muṭṭalib ibn Hāshim, e dove poi rimase anche col secondo suo tutore, lo zio paterno Abu Tàlib – Maometto ebbe occasione di entrare in contatto sin dalla più tenera età con i ḥanīf, monoteisti che non si riferivano ad alcuna religione rivelata. Nei suoi viaggi fatti in Siria e Yemen con suo zio, Maometto conobbe poi le comunità ebraiche e quelle cristiane, e dell’incontro col monaco cristiano siriano Bahīra, che avrebbe riconosciuto in un neo fra le sue scapole il segno del futuro carisma profetico, si parla già nella prima biografia (Sīra) di Maometto, che fu curata, vario tempo dopo la morte, da Ibn Isḥāq per essere poi ripresa in forma più “pia” da Ibn Hishām.

Oltre alla madre e alla nutrice, due altre donne si presero cura di lui da bambino: Umm Ayman Baraka e Fāṭima bint Asad, moglie dello zio Abū Tālib. La prima era la schiava etiopica della madre che lo aveva allevato dopo il periodo trascorso presso con Halīma, rimanendo con lui fino a che Maometto ne propiziò il matrimonio, dapprima con un medinese e poi col figlio adottivo Zayd. Nella tradizione islamica Umm Ayman, che generò Usama ibn Zayd, fa parte della Gente della Casa (Ahl al-Bayt) e il Profeta nutrì sempre per lei un vivo affetto, anche per essere stata una delle prime donne a credere al messaggio coranico da lui rivelato. Altrettanto importante fu l’affettuosa e presente sua zia Fāṭima bint Asad, che Maometto amava per il suo carattere dolce, tanto da mettere il suo nome a una delle proprie figlie e per la quale il futuro profeta pregò spesso dopo la sua morte.

I numerosi viaggi intrapresi per via dell’attività mercantile familiare – dapprima con lo zio e poi come agente della ricca e colta vedova Khadīja bt. Khuwaylid – dettero a Maometto occasione di ampliare in maniera significativa le sue conoscenze in campo religioso e sociale. Sposata nel 595 Khadìja bint Khuwàylid (che restò finché visse la sua unica moglie), egli poté dedicarsi alle sue riflessioni spirituali in modo più assiduo e, anzi, pressoché esclusivo. Khadìja fu il primo essere umano a credere nella Rivelazione di cui Maometto era portatore e lo sostenne con forte convinzione fino alla sua morte avvenuta nel 619. A lui, in una felice vita di coppia, dette quattro figlie, Ruqayya, Umm Khulthūm, Zaynab e Fāṭima, oltre a due figli maschi (al-Qàsim e ʿAbd Allah) che morirono tuttavia in tenera età.

L’arcangelo Gabriele porta la Rivelazione di Dio a Maometto, ancora una volta velato (antica miniatura).

Nel 610 Maometto, affermando di operare in base a una Rivelazione ricevuta, cominciò a predicare una religione monoteista basata sul culto esclusivo di Dio, unico e indivisibile. In effetti il concetto di monoteismo era diffuso in Arabia da tempi più antichi e il nome Allah (principale nome di Dio nell’Islam,[8] che in lingua araba deriva dalla radice <ʾ-l-h>) significa semplicemente “Iddio”. Gli abitanti dell’Arabia peninsulare e di Mecca – salvo pochi cristiani e zoroastriani e un assai più consistente numero di ebrei – erano per lo più dediti a culti politeistici e adoravano un gran numero di idoli. Questi dèi erano venerati anche in occasione di feste, per lo più abbinate a pellegrinaggi (in arabo: mawsim). Particolarmente rilevante era il pellegrinaggio panarabo, detto hajj, che si svolgeva nel mese lunare di Dhu l-Hijja (“Quello del Pellegrinaggio”). In tale occasione molti devoti arrivavano nei pressi della città, nella zona di Mina, Muzdalifa e di ʿArafa. Gli abitanti di Mecca avevano anche un loro proprio pellegrinaggio urbano (la cosiddetta ʿumra) che svolgevano nel mese di rajab in onore del dio tribale Hubal e delle altre divinità panarabe, graziosamente ospitate dai Quraysh all’interno del santuario meccano della Kaʿba.

Maometto, come altri ḥanīf, era solito ritirarsi a meditare, secondo la tradizione islamica, in una grotta sul monte Hira vicino Mecca. Secondo tale tradizione, una notte, intorno all’anno 610, durante il mese di Ramadan, all’età di circa quarant’anni, gli apparve l’arcangelo Gabriele (in arabo Jibrīl o Jabrāʾīl, ossia “potenza di Dio”: da “jabr”, potenza, e “Allah”, Dio) che lo esortò a diventare Messaggero (rasūl) di Allah con le seguenti parole:

« (1) Leggi, in nome del tuo Signore, che ha creato, (2) ha creato l’uomo da un grumo di sangue! (3) Leggi! Ché il tuo Signore è il Generosissimo, (4) Colui che ha insegnato l’uso del calamo, (5) ha insegnato all’uomo quello che non sapeva[9] »

Turbato da un’esperienza così anomala, Maometto credette di essere stato soggiogato dai jinn e quindi impazzito (majnūn, “impazzito”, significa letteralmente “catturato dai jinn“) tanto che, scosso da violenti tremori, cadde preda di un intenso sentimento di terrore.

Secondo la tradizione islamica Maometto poté in quella sua prima esperienza teopatica sentire le rocce e gli alberi che gli parlavano. Preso dal panico fuggì a precipizio dalla caverna in direzione della propria abitazione e nel girarsi vide Gabriele sovrastare con le sue ali immense l’intero orizzonte (per quel “gigantismo” che caratterizza le “realtà angeliche”, anche in contesti diversi da quello islamico) e lo sentì rivelargli di essere stato prescelto da Dio come suo messaggero.

Non gli fu facile accettare tale notizia ma a convincerlo della realtà di quanto accadutogli, provvide innanzi tutti la fede della moglie e, in seconda battuta, quella del cugino di lei, Waraqa ibn Nawfal, che alcuni indicano come cristiano ma che, più verosimilmente, era uno di quei monoteisti arabi (ḥanīf) che non si riferivano tuttavia a una specifica struttura religiosa organizzata.

Dopo un lungo e angosciante periodo in cui le sue esperienze non ebbero seguito (fatra), Gabriele tornò di nuovo a parlargli per trasmettergli altri versetti e questo proseguì per 23 anni, fino alla morte nel 632 di Maometto.

Al contrario di una “utile” tradizione che vorrebbe Maometto “analfabeta” (così da rendere del tutto impossibile l’accusa che il Corano fosse una sua personale elaborazione poetica), il profeta dell’Islam era uomo tutt’altro che ignorante, vuoi per la sua professione di commerciante che l’aveva portato in contatto con altre lingue e altre culture, vuoi per alcuni episodi della sua stessa vita (come una sua correzione e la sua firma, secondo una tradizione riportata da Tabari, apposte nel Trattato di Ḥudaybiyya). L’equivoco deriva dall’espressione a lui riferita di al-Nabī al-ummī che può voler dire in effetti “il profeta ignorante” ma anche, e più verosimilmente, “il profeta della comunità (araba)” o “il profeta di una cultura non basata su testi sacri scritti”. Peraltro a Istanbul, presso l’antica residenza dei sultani ottomani del Topkapi, è conservato (ed è tuttora oggetto di venerazione) una lettera autografa attribuitagli nella quale intima ai cristiani copti di convertirsi all’Islam.

Maometto cominciò dunque a predicare la Rivelazione che gli trasmetteva Jibrīl, ma i convertiti nella sua città natale furono pochissimi per i numerosi anni che egli ancora trascorse a Mecca. Fra essi il suo amico intimo e coetaneo Abu Bakr (destinato a succedergli come califfo, guida della comunità islamica che si fondò con lenta ma sicura progressione malgrado l’assenza di precise indicazioni scritte e orali in merito) e un gruppetto assai ristretto di persone che sarebbero stati i suoi più validi collaboratori: i cosiddetti “Dieci Benedetti” (al-ʿashara al-mubashara).

La Rivelazione da lui espressa dunque – raccolta dopo la sua morte nel Corano, il libro sacro dell’Islam – dimostrò la validità del detto evangelico per cui “nessuno è profeta in patria”. Maometto ripeté per ben due volte per intero il Corano nei suoi ultimi due anni di vita e molti musulmani lo memorizzarono per intero ma fu solo il terzo califfo ʿUthmān b. ʿAffān a farlo mettere per iscritto da una commissione coordinata da Zayd b. Thābit, segretario del Profeta. Così il testo accettato del Corano poté diffondersi nel mondo a seguito delle prime conquiste che portarono gli eserciti di Medina in Africa, Asia ed Europa, rimanendo inalterato fino ad oggi, malgrado lo Sciismo vi aggiunga un capitolo (Sura) e alcuni brevi versetti (ayat).

Nel 619, l’”anno del dolore”, morirono tanto suo zio Abu Talib, che gli aveva garantito affetto e protezione malgrado non si fosse convertito alla religione del nipote, quanto l’amata Khadìja. Fu solo dopo ripetute insistenze che Maometto contrasse nuove nozze, tra cui quelle con ʿĀʾisha bt. Abī Bakr, figlia del suo più intimo amico e collaboratore, Abu Bakr.

L’ostilità dei suoi concittadini tentò di esprimersi con un prolungato boicottaggio nei confronti di Maometto e del suo clan, con il divieto di intrattenere con costoro rapporti di tipo economico commerciale, i troppi vincoli parentali creatisi però fra i clan della stessa tribù fecero fallire il progetto di ridurre a più miti consigli Maometto.

Maometto in marcia alla volta di Khaybar (dal Majmaʿ al-tawarīkh di Rashīd al-Dīn)

Nel 622 il crescente malumore dei Quraysh nel veder danneggiati i propri interessi – a causa dell’inevitabile conflitto ideologico e spirituale che si sarebbe radicato con gli altri arabi politeisti (che con loro proficuamente commerciavano e che annualmente partecipavano ai riti della ʿumra del mese di rajab) – lo indusse a rifugiarsi con la sua settantina di correligionari, a Yathrib, trecentoquaranta chilometri più a nord di Mecca, che mutò presto il proprio nome in Madīnat al-Nabī, “la Città del Profeta” (Medina). Il 622, l’anno dell’Egira (emigrazione), divenne poi sotto il califfo ‘Omar ibn al-Khattàb il primo anno del calendario islamico, utile alla tenuta dei registri fiscali e dell’amministrazione in genere.

Inizialmente Maometto si ritenne un profeta inserito nel solco profetico antico-testamentario, ma la comunità ebraica di Medina non lo accettò come tale. Nonostante ciò, Maometto predicò a Medina per otto anni e qui, fin dal suo primo anno di permanenza, formulò un Patto (Rescritto o Statuto o Carta, in arabo Ṣaḥīfa) che fu accettato da tutte le componenti della città-oasi e che vide il sorgere della Umma, la prima Comunità politica di credenti.

Nello stesso tempo, con i suoi seguaci, condusse attacchi contro le carovane dei Meccani e respinse i loro contrattacchi. L’ostilità di Maometto nei confronti dei suoi concittadini si concretizzò nel primo vittorioso scontro armato ai pozzi di Badr, alla successiva disfatta di Uḥud e alla finale vittoria strategica di Medina (Battaglia del Fossato) contro i politeisti Quraysh che lo avevano inutilmente assediato.

In tutte queste circostanze Maometto colpì in diversa misura anche gli ebrei di Medina, che si erano resi colpevoli agli occhi della Umma della violazione del Rescritto di Medina e di tradimento nei confronti della componente islamica. In occasione dei due primi fatti d’armi furono esiliate le tribù ebraiche dei Banū Qaynuqāʿ e dei Banū Naḍīr, mentre dopo la vittoria nella cosiddetta “battaglia” del Fossato (Yawm al-Khandaq), i musulmani decapitarono tra i 700 e i 900 uomini ebrei della tribù dei Banū Qurayza, arresasi ai seguaci del Profeta in conseguenza del fallimento dell’assedio dei Quraysh e dei loro alleati arabi, protrattosi per 25 inutili giorni. Le loro donne e i loro bambini furono invece venduti come schiavi[10][11] sui mercati d’uomini di Siria e del Najd, dove vennero quasi tutti riscattati dai loro correligionari di Khaybar, Fadak e di altre oasi arabe higiazene.[12]

La cruenta decisione fu probabilmente la conseguenza dell’accusa di intelligenza col nemico durante l’assedio[13] ma la sentenza non fu decisa da Maometto che invece affidò il responso sulla punizione da adottare a Saʿd b. Muʿādh, sayyid dei Banū ʿAbd al-Ashhal – clan della tribù medinese dei Banu Aws – un tempo principale alleato dei B. Qurayẓa. Questi, ferito gravemente da una freccia (tanto da morirne pochissimi giorni più tardi) e ovviamente pieno di rabbia e rancore, decise per quella soluzione estrema, non frequente (ma non del tutto inconsueta) all’epoca.[14] Che non si trattasse comunque di una decisione da leggere in chiave esclusivamente anti-ebraica potrebbe dimostrarcelo il fatto che gli altri B. Qurayẓa che vivevano intorno a Medina,[15] e nel resto del Ḥijāz (circa 25.000 persone), non furono infastiditi dai musulmani, né allora, né in seguito.[16] In proposito si è anche espresso uno dei più apprezzati storici del primo Islam, Fred McGrew Donner, che, nel suo Muhammad and the believers (Cambridge, MA, The Belknap Press of Harvard University Press, 2010, p. 74), afferma «… we must conclude that the clashes with other Jews or group pf Jews were the result of particular attitudes or political actions on their part, such a refusal to accept Muhammad’s leadership or prophecy. They cannot be taken as evidence of a general hostility to Judaism in the Believers’ movement, any more than the execution or punishment of certain of Muhammad’s persercutors from Quraysh should lead us to conclude that he was anti-Qurays».[17]

La morte di Maometto. Miniatura presente nel manoscritto ottomano del Siyar-i Nebi, datato 1595, conservato nel Topkapı Sarayı Müzesi di Istanbul (Hazine 1222, folio 414a)

Nel 630 Maometto era ormai abbastanza forte per marciare su Mecca e conquistarla. Tornò peraltro a vivere a Medina e da qui ampliò la sua azione politica e religiosa a tutto il resto del Hijaz e, dopo la sua vittoria nel 630 a Ḥunayn contro l’alleanza che s’imperniava sulla tribù dei Banu Hawazin, con una serie di operazioni militari nel cosiddetto Wadi al-qura, a 150 chilometri a settentrione di Medina, conquistò o semplicemente assoggettò vari centri abitati (spesso oasi), come Khaybar, Tabūk e Fadak, il cui controllo aveva indubbie valenze economiche e strategiche.

Due anni dopo Maometto morì a Medina, dopo aver compiuto il Grande Pellegrinaggio detto anche il “Pellegrinaggio dell’Addio”, senza indicare esplicitamente chi dovesse succedergli alla guida politica della Umma. Lasciava nove vedove – tra cui ʿĀʾisha bt. Abī Bakr – e una sola figlia vivente, Fatima, andata sposa al cugino del profeta, ʿAlī b. Abī Ṭālib, madre dei suoi nipoti al-Hasan b. ʿAlī e al-Husayn b. ʿAlī. Fatima, piegata dal dolore della perdita del padre e logorata da una vita di sofferenze e fatiche, morì sei mesi più tardi, diventando in breve una delle figure più rappresentative e venerate della religione islamica.

“Maometto” è la volgarizzazione italiana fatta in età medievale del nome “Muhammad”, utile semplificazione della pronuncia. La parola araba “muhammad”, che significa “grandemente lodato”, è infatti un participio passivo di II forma (intensiva) della radice [h-m-d] (lodare).

La dimostrazione più lampante di ciò sta nell’opera di Giovanni Damasceno, il De haeresibus, dove il suo nome in greco è “Μωάμεθ”,[18] che suona “Mōámeth”, assai simile al posteriore “Maometto”.

Secondo lo studioso francese Michel Masson[19], invece, nelle lingue romanze, e tra queste l’italiano, si osserva una storpiatura del nome del profeta in senso spregiativo (da qui il francese Mahomet e l’italiano Macometto). Allo stesso modo si esprimono alcuni scrittori italiani[20] che ritengono che il nome “Maometto” non sarebbe di diretta origine araba, ma “un’italianizzazione” adottata all’epoca per costituire una sintesi dell’espressione spregiativa di “Mal Commetto”[21], volta a conferire una connotazione negativa al Profeta dell’Islam.

Ben diversamente, sulla derivazione di tali varianti dal nome arabo, si esprime Georges S. Colin,[22] che osservava come questo tipo di adattamenti fonetici trovasse una spiegazione in un passaggio della sintesi fornita da Ibn ʿArḍūn del suo trattato sul matrimonio, intitolato Muqniʿ al-Muḥtāj fī adāb al-zawāj, in cui avvertiva dell’uso che, nel dare al neonato il nome venerato di Muhammad, non lo si «sfigurasse con una vocalizzazione della prima consonante mīm in a e della consonante ḥā in u». Ciò implicava – notava Colin – che nel XIV secolo i Berberi Ghumāra avessero l’abitudine d’impiegare la forma *Maḥummad e *Maḥommad (facilmente trasformabili in Mahoma nell’ambiente nordafricano, che aveva stretti e secolari vincoli con il bilād al-Andalus), e che, così facendo, si evitasse il rischio che il bambino che portava lo stesso nome del Profeta, mostrando nel crescere scarse qualità o addirittura veri e propri difetti caratteriali, potesse profanare la baraka (benedizione) che derivava dal nome “Muhammad”. Colin commentava come anche i Cinesi seguissero la stessa logica, impiegando «rovesciati (renversés) alcuni caratteri dichiarati tabù».

Come risulta da una lettera inviata nel 1141 dall’abate Pietro di Cluny, detto il Venerabile, a Bernardo di Chiaravalle, in occasione della traduzione di un “breve scritto apologetico arabo-cristiano, la Summula brevis contra haereses et sectam Saracenorum, sive Ismaelitarum, il nome “Muhammad” è reso fin da allora come “Machumet”.[23]

« Mitto vobis, clarissime, novam translationem nostram, contra pessimam nequam Machumet haeresim disputantem… »

Del pari Ermanno di Carinzia (o Dalmata), in una sua traduzione, scriveva:

« De generatione Mahumet et nutritura ejus… »

dimostrando come, a metà del XII secolo, il nome Maometto non traesse origine da alcuna espressione insultante o irridente proveniente da idiomi romanzi.

La cosa è confermata da Trude Ehlert,[24] che ricorda come una delle prime attestazioni nella più diffusa letteratura romanza del nome del profeta dell’Islam (basata su fonti arabe e sostanzialmente esente da valutazioni cristiane), figuri nell’opera L’eschiele Mahomet, una versione tradotta in antico idioma volgare francese del Libro della Scala: un genere letterario-religioso basato sulla storia dell’asserita ascesi di Maometto attraverso i sette cieli,[25] composta poco dopo il 1264. Varrà la pena ricordare come il Libro della Scala, elaborato prima del 1264, sia una traduzione (perduta) della Escala de Mahoma, redatto in antico volgare castigliano tra il 1260 e il 1264. In nessuno di questi casi Mahomet o Mahoma appaiono ricollegabili a espressioni ingiuriose, come invece suggerirebbe il nome Malcometto usato da Rustichello nella sua trascrizione del resoconto di viaggio di Marco Polo alla fine del XIII secolo: oltre mezzo secolo quindi dopo le prime attestazioni in volgare castigliano e francese.[26]

Dopo un protratto periodo di indifferenza nei confronti dell’Islam, superficialmente equivocato dalla Cristianità occidentale – al contrario di quella orientale, di espressione greca – come una delle tante eresie del Cristianesimo[27], nelle dispute con cristiani, questi ultimi sottolinearono il carattere sincretistico della religione di Maometto, basata allo stesso tempo su tradizioni arabe preislamiche (come il culto della Pietra Nera della Mecca) e su tradizioni cristiane siriache ed ebraiche, e mossero critiche alla personalità di Maometto, alla formazione e trasmissione del testo coranico e alla diffusione dell’islam attraverso la spada.[28]

Nell’Occidente medievale Maometto fu considerato per oltre cinque secoli un cristiano eretico. Dante Alighieri – non consapevole del profondo grado di diversità teologica della fede predicata da Maometto, per l’influenza su di lui esercitata dal suo Maestro Brunetto Latini, che riteneva Maometto un chierico cristiano di nome Pelagio, appartenente al casato romano dei Colonna[29] – lo cita nel canto XXVIII dell’Inferno tra i seminatori di scandalo e di scisma nella Divina Commedia assieme ad Ali ibn Abi Tàlib, suo cugino-genero, coerentemente con quanto da lui già scritto ai versetti 70-73 del canto VIII dell’Inferno:

« …«Maestro, già le sue meschite / là entro certe ne la valle cerno, / vermiglie come se di foco uscite / fossero… »

in cui le “meschite” (evidente deformazione della parola del volgare castigliano mezquita, derivante dall’arabo masjid, che significa moschea) della città di Dite sono le “vermiglie” abitazioni della città dannata ove dimorano gli eresiarchi cristiani.
È questo (e non altro) il motivo per cui nella basilica di San Petronio a Bologna, in un celebre affresco, Maometto fu raffigurato all’inferno, secondo la descrizione di Dante, con il ventre squarciato, come spaccata era la comunità cristiana a causa dei suoi vari scismi.

Il motivo per cui Dante lo colloca tra i seminatori di discordie e non tra gli eresiarchi è probabilmente dovuto a una leggenda medievale che parla di Maometto come vescovo e cardinale cristiano, che poi avrebbe rinnegato la propria fede, deluso per non aver raggiunto il papato o per altra ragione e avrebbe creato una nuova religione «mescolando quella di Moisè con quella di Cristo».[30]

Secondo una tradizione diffusa tra i musulmani, il Negus di Abissinia – che ospitò gli esiliati musulmani quando Maometto era in vita – avrebbe attestato la sua fede in lui come profeta di Dio.

ʿUmar fu inumato accanto a Maometto: onore che prima di lui fu riservato anche ad Abū Bakr. Il sepolcro si trova all’interno della Moschea del Profeta di Medina. La prima finestra a destra permette di osservarne il sacello (vuoto, in base alle usanze islamiche che prevedono l’inumazione nella nuda terra). A sinistra del Profeta si trova il sacello di Abū Bakr e, più piccolo e addossato alla parete, quello di ʿĀʾisha.

Maometto ebbe le seguenti mogli:

  • Khadija bint Khuwaylid
  • Sawda bint Zamʿa b. Qays
  • ʿĀʾisha bint Abī Bakr al-Siddīq (ʿĀʾisha, figlia del futuro primo Califfo Abū Bakr)
  • Ḥafṣa bint ʿUmar (figlia del secondo futuro Califfo ʿUmar b. al-Khaṭṭab)
  • Zaynab bint Khuzayma b. al-Ḥārith, detta poi “Madre dei poveri”
  • Umm Salama Hind bt. Abī Umayya b. al-Mughīra al-Makhzūmiyya
  • Zaynab bint Jahsh b. Riʿāb al-Asadiyya
  • Juwayriyya bint al-Ḥārith b. Abī Dirār
  • Ramla bint Abī Sufyān (Umm Habība bt. Abī Sufyān)
  • Rayhana bint ʿAmr
  • Sāfiyya bint Ḥuyayy b. Akhtab
  • Maymūna bint al-Ḥārith b. Ḥazn
  • Māriya bint Shamʿūn b. Ibrāhīm, detta la Copta (al-Qibtiyya)[31]

Pur avendole sposate, non ebbe rapporti coniugali con Asmāʾ bt. al-Nuʿmān (malata di lebbra) e ʿAmra bt. Yazīd che dimostrò immediatamente tutta la sua ostilità per tale unione, ottenendo così di venir subito ripudiata e di tornare tra la sua gente (i B. Kilāb).

La moglie più importante per Maometto fu comunque Khadīja che aveva sposato prima della “Rivelazione” e che per prima aderì alla religione islamica. Fu anche un forte sostegno economico, e ancor più morale, soprattutto di fronte alle angherie dei notabili pagani della città ostili al marito. Da lei Maometto ebbe quattro figlie femmine (Zaynab, Ruqayya, Umm Kulthūm e Fāṭima) e due maschi (al-Qāsim e ʿAbd Allāh, detto anche Ṭāhir e Ṭayyib). Da Māriya la Copta ebbe invece Ibrāhīm.

Secondo l’Islam non è possibile avere più di quattro mogli. In virtù della rivelazione divina di un versetto del Corano fu consentito a Maometto di superare questo limite, ed alcuni dei suoi matrimoni furono contratti per sanzionare alleanze o conversioni di gruppi arabi pagani, dal momento che gli usi del tempo prevedevano che si contraesse un vincolo coniugale fra le parti per rafforzare un importante accordo che s’intendeva concludere.

Maometto ebbe anche sedici concubine ma solo dalla sua schiava, che sposò, la copta Māriya, ebbe un figlio: Ibrāhīm, deceduto a otto mesi con grande dolore dello stesso Maometto che poco tempo dopo, morendo fra le braccia di ʿĀʾisha, lo raggiunse nella tomba.

Fra le mogli sposate successivamente la più importante (malgrado non gli desse figli) fu ʿĀʾisha, figlia di Abū Bakr, nata verso il 614. Secondo numerose attestazioni di diversi ḥadīth ella aveva 6 anni in occasione del suo matrimonio formale e 9 anni al momento della prima consumazione[32] e fu con lui fino alla sua morte nel 632, mentre secondo qualche altro ḥadīth ʿAʾisha aveva 7 anni quando contrasse il matrimonio e 10 quando lo consumò. Il Profeta la sposò dopo un ordine divino ricevuto dall’arcangelo Gabriele. La questione dell’età di ʿĀʾisha costituisce un problema particolare, per documentate contraddizioni storiche[33] ignorate dai succitati ḥadīth, oltre a considerazioni di tipo metodologico che impediscono l’applicazione all’età moderna di categorie valide nei tempi più antichi.

Note

  1. ^ Rodinson (2002)
  2. ^ La sua relativa superiorità è attestata in numerose opere islamiche. Tra tutte ha un certo peso quanto riferito in margine al suo Isra’ e Mi’raj, in cui a lui è riservato il posto d’eccellenza fra i numerosi profeti che l’avevano preceduto
  3. ^ Il Corano fu messo definitivamente per iscritto solamente dopo la sua morte durante il califfato di ʿUthmān b. ʿAffān
  4. ^ Muḥàmmad – participio passivo di II forma (ovverosia intensiva) della radice <h-m-d>, che significa “lodare” – è reso in italiano col nome Maometto, in base a un’antica volgarizzazione risalente al Medioevo. Una parte del mondo musulmano, in Italia e nel resto del mondo, pretenderebbe in segno di rispetto l’uso dell’originale nome Muhàmmad e considera che ‘Maometto’, e adattamenti similari, costituiscano distorsioni inaccettabili da rifuggire. Non sembra però tenersi nel debito conto la realtà espressa in vari ambiti islamici non arabofoni – come ad esempio, fin dall’età ottomana, il mondo turcofono – in cui l’onomastica araba è stata comprensibilmente adattata alle specifiche realtà linguistiche locali. Talché il nome Mehmet non ha mai sollevato alcuna perplessità tra i dotti musulmani di quella e di altre parti del mondo islamico. Non ha dunque alcun motivo logico di esistere la suscettibilità di quanti non accettano l’uso delle varianti locali del nome del profeta dell’Islam.
  5. ^ Il più antico biografo di Maometto, Ibn Ishaq, scrive nella sua al-Sīra al-nabawiyya che il profeta sarebbe nato il lunedì 12 rabīʿ I dell’Anno dell’elefante. Tabari invece si limita a indicare l’Anno dell’elefante, senza fornire il giorno e il mese, ma ricorda la tradizione di Hishām b. Muhammad al-Kalbī secondo cui Maometto era nato nel “quarantaduesimo anno del regno di Kisra Anūsharwān, vale a dire nel 573.
  6. ^ Dall’opinione della maggioranza dei tradizionisti, che fissa a 63 anni l’arco di vita di Maometto, si è dedotta la sua data di nascita, altrimenti indicata con la semplice espressione “Anno dell’elefante”. Tuttavia esistono tradizioni difformi, per quanto decisamente minoritarie, che indicano in 60 o 65 gli anni vissuti dal Profeta dell’Islam. Cfr. Tabari, Taʾrīkh al-rusul wa l-mulūk, 1835-1836, che cita in proposito ʿAmr b. Dīnār (60 anni) e Ibn ʿAbbās (65).
  7. ^ Vite antiche di Maometto, a cura di Michael Lacker. Testi scelti e tradotti da Roberto Tottoli, Milano, Mondadori 2007.
  8. ^ L’altro è al-Raḥmān (lett. “Il Misericordioso”).
  9. ^ Sura 96:1-5. Salvo l’imperativo iniziale, si è seguita la versione de Il Corano, introd., trad. e commento di Alessandro Bausani, Firenze, Sansoni, 1961 e succ. ediz. La traduzione bausaniana riporta “Grida”, malgrado iqrāʾ significhi più propriamente “recita salmodiando” pur essendo logico che per poter recitare si debba preliminarmente leggere, non essendo noto il contenuto del brano da recitare).
  10. ^ ^ Peterson (2007), p. 126.
  11. ^ Ramadan (2007), p. 141.
  12. ^ M.J. Kister, “The massacre of Banu Qurayza: a re-examination of a tradition”, in: Jerusalem Studies in Arabic and Islam 8 (1986), pp. 61-96, a p. 94.
  13. ^ M.J. Kister, art. cit., pp. 86-87.
  14. ^ Si ricorderà il massacro dei cristiani di Najran disposto dal tubbaʿ giudaizzato di Himyar, Dhū Nuwās.
  15. ^ al-Wāqidī, Kitāb al-maghāzī, ed. Marsden Jones, 2 voll. Londra, 1966, II, pp. 634 e 684, parla ad esempio della presenza a Medina di ebrei dopo il Giorno del Fossato.
  16. ^ Claudio Lo Jacono, Maometto, Roma-Bari, Editori Laterza, 2011, p. 116.
  17. ^ «dobbiamo… concludere che gli scontri con altri ebrei o gruppi di ebrei furono il risultato di particolari atteggiamenti o comportamenti politici di costoro, come, per esempio, il rifiuto di accettare la leadership o il rango di profeta di Muhammad. Questi episodi non possono pertanto essere considerati prove di un’ostilità generalizzata nei confronti degli ebrei da parte del movimento dei Credenti, così come non si può concludere che Muhammad nutrisse un’ostilità generalizzata nei confronti dei Quraysh perché fece mettere a morte e punì alcuni suoi persecutori appartenenti a questa tribù.» (Fred M. Donner, Maometto e le origini dell’islam, ediz. e trad. di R. Tottoli, Torino, Einaudi, 2011, p. 76-77).
  18. ^ Codex Colbertino 4753.
  19. ^ Professore emerito di “Linguistica semitica” presso l’ Université Paris 3-Sorbonne Nouvelle: Cfr.: qui [1] 
  20. ^ Magdi Allam. Bin Laden in Italia: viaggio nell’islam radicale. Milano, Mondadori, 2002, p. 210.
  21. ^ Cfr. ad esempio Marco Polo nel Milione (redazione toscana):
    « Mossul è un grande reame, ove è molte generazioni di genti, le quali vi conterò incontenente. E v’à una gente che si chiamano arabi, ch’adorano Malcometto;… »(Milione, 23)Reso nello stesso testo redatto in origine in langue d’oïl (franco-italiano) Le divisament dou monde:« Mosul est un grant roiames qui l’habitant plusors jeneration de jens les quelç deiveserai orendroit. Il (a) une jens ki est apellé Arabi que orent Maomet;… »(Le divisament dou monde 24)
  22. ^ “Note sur l’origine du nom de «Mahomet»”, in: Hespéris (Archives berbères et Bulletin de l’Institut des Hautes-Études marocaines), 1925, I, p. 129.
  23. ^ Cfr. Ugo Monneret de Villard, Lo studio dell’Islām in Europa nel XII e nel XIII secolo, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1944, pp. 18-19.
  24. ^ Lemma «Muhammad» pubblicato sull’Encyclopaedia of Islam.
  25. ^ Si veda Isrāʾ e Miʿrāj).
  26. ^ Più di recente si veda anche Claudio Lo Jacono, Storia del mondo islamico – Il Vicino Oriente, Torino, Einaudi, 2003, p. 3, nota 3.
  27. ^ Cfr. Aldobrandino Malvezzi, L’Islamismo e la cultura europea, Firenze, Sansoni, 1956, p. 75.
  28. ^ Vedi ad esempio l’apologia di al-Kindi, testo arabo cristiano del IX secolo e tradotta in latino a partire dal XII secolo (Apologia del cristianesimo, a cura di Laura Bottini, Milano, Jaca Book, 1987).
  29. ^ Il Tesoro, I, 88.
  30. ^ Vittorio Sermonti, L’Inferno di Dante, Milano, Rizzoli, 2001, p. 513.
  31. ^ Musʿab b. ʿAbd Allāh al-Zubayrī, Kitāb nasab Quraysh (Il libro genealogico dei Quraysh), p. 21. L’Autore specifica che la giovane era stata donata a Maometto dal Patriarca di Alessandria, Muqawqis (che nelle fonti non arabe è però correttamente chiamato Kyros/Ciro).
  32. ^ Ṣaḥīḥ di Bukhari, Vol. 5, Libro 58, numeri 234 [2] e 236 [3], Volume 7, Libro 62, Numeri 64 [4], 65 [5]e 88 [6]), Ṣaḥīḥ di Muslim, Libro 8, Numeri 3309 [7], 3310 [8]e 3311 [9]), Sunan di Abu Dawud al-Sijistani, Vol. 2, n. 2116, Libro 41, n. 4915 [10], 4916 [11]e 4917 [12], Sunan di Nasāʾī, 1, # 18, p. 108, Sunan di Ibn Māja, 3:1876, p. 133 e 3:1877 p. 134, al-Tabari, Taʾrīkh al-rusul wa l-mulūk, vol. 9, pp. 129-131 e vol. 7, p. 7 dell’edizione curata da Ihsān ʿAbbās per la SUNY Press di Albany (NY), Mishkat al-masabīh, Vol. 2, p. 77.
  33. ^ Il riferimento è alla prima, e tuttora più autorevole, biografia di Maometto: quella di Ibn Isḥāq, mantenuta da Ibn Hishām, che certifica con precisione la nascita di ʿĀʾisha «nella jāhiliyya», vale a dire a una data comunque precedente all’avvio della Rivelazione coranica del 610.

Bibliografia

  • Ahrens, Karl, Muhammed als Religionsstifter, Leipzig, Deutsche Morgenländische Gesellschaft (Abhandlungen für die Kunde des Morgenlandes, Bd. 19, n° 4), 1935.
  • Andrae, Tor, Die Person Muhammeds, Stockholm, Kungl, 1917. Boktryckeriet. P.A. Norstedt & Söner, 1917 (trad. ted. Mohammed, sein Leben und sein Glaube, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1932; trad. ital. Maometto. La sua vita e la sua fede, a cura di F. Gabrieli, Bari, Laterza, 1934 [anast. 1981]).
  • Attalah, Wahib, La biographie du Prophète Mahomet, Ibn Hichâm, Parigi, Fayard, 2004.
  • Buhl, Frants, Muhammeds Liv, København, 1903 (trad. ted. Das Leben Muhammeds, Lipsia, Quelle & Meyer, 1930).
  • Chabbi, Jacqueline, Le Seigneur des tribus. L’Islam de Mahomet, Parigi, Noêsis, 1997, (préface d’André Caquot).
  • Il Corano, introd., trad. e commento di Alessandro Bausani, Firenze, Sansoni, 1961 (e successive ediz., l’ultima delle quali della Rizzoli di Milano).
  • Il Corano, traduz. e note di Martino Mario Moreno, Torino, UTET, 1967 (rist. 2005).
  • Il Corano, a cura di A. Ventura, trad. di I. Zilio Grandi, Milano, Mondadori, 2010.
  • De Boulainvilliers, Henri, La vie de Mahomed, publ. à Londres et se trouve à Amsterdam: chez P. Humbert, 1730 (trad. ital. Vita di Maometto, Palermo, Sellerio, 1992).
  • De Lamartine, Alphonse, La vie de Mahommet, 1854 (libro di pubblico dominio, http://thelifeofmuhammad.free.fr ).
  • Delcambre, Anne-Marie, Mahomet, la parole d’Allah, Parigi, Gallimard, 1987, ISBN 2-07-053030-2.
  • Dermenghem, Emile, La vie de Mahomet, Paris, Plon, 1929 (trad. ital. Maometto, Milano, dall’Oglio, 1953).
  • Dermenghem, Emile, Mahomet et la tradition islamique, Parigi, Ed. du Seuil, 1955.
  • Gabrieli, Francesco, Maometto e le grandi conquiste arabe, Milano, Il Saggiatore, 1967.
  • Ibn Isḥāq/Ibn Hishām (Abū Muḥammad ʿAbd al-Malik), al-Sīra al-nabawiyya (La vita del Profeta), Muṣṭafà al-Saqqā, Ibrāhīm al-Abyārī e ʿAbd al-Ḥafīẓ Šiblī (edd.), Il Cairo, Muṣṭafà al-Bābī l-Ḥalabī, 2 voll., II ed., 1955 (trad. inglese The Life of Muhammad, a cura di A. Guillaume, Oxford University Press, 1955).
  • Jeffery, Arthur, “The Quest of the Historical Muhammad”, in: The Muslim World, 16 (1926), pp. 327–348. [13]  
  • Lings, Martin, Muhammad, His Life Based on the Earliest Sources, Londra, The Islamic Texts Society – George Allen & Unwin, 1983 (trad. ital. Il Profeta Muhammad, Trieste, Società Italiana Testi Islamici, 1988).
  • Lo Jacono, Claudio, “L’Arabia preislamica e Muhammad”, in: Giovanni Filoramo (a cura di), Islam, su Storia delle religioni, vol. III, Roma-Bari, Laterza, 1999.
  • Lo Jacono, Claudio, Maometto l’Inviato di Dio, Roma, Ed. Lavoro, 1995.
  • Lo Jacono, Claudio, Maometto, Roma-Bari, Laterza, 2011.
  • Mandel, Gabriele, Il Corano senza segreti
  • Marchand, René, Mahomet : Contre-enquête, éd. de l’Echiquier, 2006.
  • Rodinson, Maxime, Muhammad: Prophet of Islam, Tauris Parke Paperbacks, 2002. ISBN 1-86064-827-4.
  • Mernissi Fatima, Donne del profeta, Genova, ECIG, EAN13 9788875457440
  • Muir, William, The Life of Mohammad, from original sources, Edinburgh, John Grant, 1923.
  • Nallino, Carlo Alfonso, Vita di Maometto, Roma, Istituto per l’Oriente, 1946.
  • Noja, Sergio, Maometto profeta dell’Islàm, Fossano (Cn), Editrice Esperienze, 1974.
  • Rodinson, Maxime, Mahomet, Paris, Editions du Seuil, 1967 (trad. ital. Maometto, Torino, Einaudi, 1973). ISBN 978-88-06-19511-3.
  • Watt, William Montgomery, Muhammad at Mecca, Oxford at the Clarendon Press, 1953.
  • Watt, William Montgomery, Muhammad at Medina, Oxford at the Clarendon Press, 1956.
  • Watt, William Montgomery, Muhammad prophet and Statesman, Oxford, Oxford University Press, 1961.
  • Wensinck, Arent Jan, Mohammed en de Joden te Medina, Leyde, E.J. Brill, 1908.

Fonte: Wikipedia



Categorie:P02- Islamismo

Tag:,

Lascia un commento

IASS-AIS

International Association for Semiotic Studies - Association Internationale de Sémiotique

NUOVA STORIA CULTURALE E VISUALE - NEW CULTURAL AND VISUAL HISTORY

STORIA DELLE IDEE E DELLA CULTURA - HISTORY OF IDEAS AND CULTURE

LINGUE STORIA CIVILTA' / LANGUAGES HISTORY CIVILIZATION

LINGUISTICA STORICA E COMPARATA / HISTORICAL AND COMPARATIVE LINGUISTICS

TEATRO E RICERCA - THEATRE AND RESEARCH

Sito di Semiotica del teatro a cura di Lost Orpheus Teatro - Site of Semiotics of the theatre edited by Lost Orpheus Theatre

TIAMAT

ARTE ARCHEOLOGIA ANTROPOLOGIA // ART ARCHAEOLOGY ANTHROPOLOGY

ORIENTALIA

Arte e società - Art and society

SEMIOTIC PAPERS - LETTERE SEMIOTICHE

La ricerca in semiotica e Filosofia del linguaggio - Research in Semiotics and Philosophy of Language

LOST ORPHEUS ENSEMBLE

Da Sonus a Lost Orpheus: Storia, Musiche, Concerti - History, Music, Concerts

Il Nautilus

Viaggio nella blogosfera della V As del Galilei di Potenza

SONUS ONLINE MUSIC JOURNAL

Materiali per la musica moderna e contemporanea - Contemporary Music Materials

WordPress.com News

The latest news on WordPress.com and the WordPress community.

ANTONIO DE LISA OFFICIAL SITE

Arte Teatro Musica Poesia - Art Theatre Music Poetry - Art Théâtre Musique Poésie

IN POESIA - IN POETRY - EN POESIE

LA LETTERATURA COME ORGANISMO - LITERATURE AS AN ORGANISM