Le scuole sunnite di diritto islamico
Una scuola giuridico-religiosa islamica in arabo viene definita madhhab. Le quattro scuole islamiche ortodosse portano il nome del loro fondatore. Durante i primi secoli di diffusione dell’islam, in particolare nell’VIII secolo, i giurisperiti (faqih, plurale fuqaha’) si riunirono in scuole (madhhab), inizialmente identificate ciascuna con un luogo preciso. I principali centri erano Medina e Mecca nella Penisola araba e le città irachene di Kufa e Bassora.
Originariamente le scuole erano costituite attorno a un nucleo di sapienti (ʿulema, plurale di ʿalim, fuqaha’ e quḍat, plurale di qaḍi), ma la loro influenza si diffuse gradualmente anche tra le popolazioni locali, che si rivolgevano a loro per dirimere le questioni di interesse quotidiano. Le scuole differivano tra loro sia per la regolamentazione dei singoli casi della vita dei credenti che per il peso assegnato alle fonti del diritto. Tali divergenze tuttavia vengono percepite non come differenze di principio ma come diverse possibilità di applicare uno stesso principio. Secondo la pratica corrente infatti un credente può seguire l’una o l’altra scuola a seconda delle necessità. A favorire questo meccanismo è il concetto di facilitazione (cfr. Corano 2:185): per ogni precetto un modo più perfetto di rispettarlo convive quasi sempre con un modo più semplice e meno oneroso, pur nell’ambito della liceità e purché non vi sia intenzione di aggirarlo. Nell’islam sunnita quelle principali sono quattro, tutt’ora in vigore.
Scuola hanafita (ﺣﻨﻔﻴـة, ḥanafiyya)
La scuola hanafita (diffusa in Turchia, Egitto, India, Pakistan, e nell’ex URSS) è la più liberale, perché tende a sottolineare il carattere formale del comportamento del fedele ma, una volta rispettata la forma, ammette che con le finzioni si possano ammorbidire certe proibizioni del Corano.
Il hanafismo, ossia la scuola hanafita ( ﺣﻨﻔﻴـة, ḥanafiyya), fu storicamente il primo dei quattro madhhab ad essere costituito verso la fine dell’VIII secolo d.C., come frutto dell’elaborazione dottrinale del suo fondatore, Abū Ḥanīfa al-Nuʿmān b. Thābit, 699-767, ( ﺍﺑﻮ ﺣﻨﻴﻔـة ﺍﻟﻨﻌﻤﺎﻥ ﺍﺑﻦ ﺛﺎﺑﺖ) definito “la guida suprema” (al-imam al-aʿẓam) e dei suoi allievi Abū Yūsuf (m. 181/798) e Muḥammad al-Shaybānī (m. 209/805). In particolare, quest’ultimo si segnala come colui che dette il via alla codificazione e alla sistematizzazione delle norme disciplinanti i rapporti con i harbī, gli abitanti non musulmani della Dar al-Harb. I suoi seguaci erano annoverati tra la “gente dell’opinione” (aṣḥab al-ra’y), per il peso che attribuivano al ragionamento analogico. Inoltre introdussero il principio dell’approvazione (istiḥsan) da parte del singolo dottore.
L’opera attribuita ad al-Shaybānī è immensa ed è disponibile pressoché nella sua interezza, anche se sono stati avanzati forti dubbi sul fatto che egli abbia effettivamente scritto tutti i titoli attribuitigli, posto che i suoi maestri, Abū Hanīfa e Abū Yūsuf, hanno lasciato una quantità ridotta di scritti sul fiqh (sono numerosi i testi attribuiti ad Abū Yūsuf, ma pochi sono giunti fino ad oggi). Va detto, infatti, che il fiqh dei primordi si basava essenzialmente sulla trasmissione orale della conoscenza e che, con tutta probabilità, al-Shaybānī rappresenta una di quelle figure che hanno segnato il passaggio alla forma scritta.
Le caratteristiche principali di al-Shaybānī sono il rigore e la sistematicità nel metodo. Egli cerca in ogni circostanza un fondamento tradizionistico per giustificare le diverse teorie di diritto. Anche se – va detto – una delle critiche che più spesso gli è stata mossa è di non aver fatto riferimento esclusivo ai ḥadīṯ del Profeta, favorendo quelli dei Compagni (Sahāba).
Un’importante opera composta da al-Shaybānī, dal titolo Kitāb al-aṣl (ma nota anche come al-Mabsūṭ) costituisce uno dei punti di partenza di tutta la dottrina ḥanafita, tanto che molti dotti ḥanafiti ne ritenevano indispensabile la conoscenza a memoria, finalizzata all’ottenimento della qualifica di mujtahid. Tra le diverse opere del giurista iracheno, si segnalano, più specificamente, per le relazioni di guerra e pace, il Kitāb al-siyar al-kabīr e il Kitāb al-siyar al-saghīr. A fianco al voluminoso corpus di al-Shaybānī, va segnalato il Kitāb al-kharāfi di Abū Yūsuf, opera di carattere fiscale, scritta su commissione del califfo abbaside Hārūn al-Rashīd (766-809).
Un altro autore del periodo antico che è spesso citato dalle opere posteriori è al-Ṭaḥāwī, giurista egiziano morto nel 933. La tradizione gli attribuisce due importanti commentari, il Kitāb al-jāmiʿ al-kabīr e il Kitāb al-jāmiʿ al-ṣaghīr; vanno inoltre segnalati il testo Ikhtilāf al-fuqahāʾ e un compendio (muḫtaṣar) di diritto hanafita, ma soprattutto i formulari legali (shurūṭ) sulle transazioni, il cui genere letterario ha avuto uno sviluppo decisivo proprio grazie ad al-Ṭaḥāwī.
Fu il madhhab prevalente nell’Impero Ottomano e attualmente è il più diffuso all’interno del mondo islamico (abbracciato da circa il 30% dei musulmani), particolarmente seguito in Turchia, in Giordania, nelle regioni a est dell’Iran, Afghanistan, Pakistan, India, Bangladesh.
Scuola malikita
La scuola malikita (diffusa nel Maghreb) è rigorosa.
I Malikiti (detti anche malichiti) sono quei musulmani sunniti che seguono il madhhab fondato sulla scia dell’insegnamento di Mālik ibn Anas di Medina (m. 796).
Tale scuola tende a considerare fondamentale nelle indicazioni dei criteri interpretativi il rispetto dei modelli religiosi, sociali e giuridici emersi a Medina, sui quali esisteva un consenso unanime (ijmāʿ) dei colti della città stessa. Rispetto agli hanafiti attribuivano maggiore importanza alla tradizione, ragion per cui vengono annoverati tra la gente del ḥadith (aṣḥab al- ḥadith) e all’approvazione preferivano l’accomodamento (istiṣlaḥ), designato con un termine legato alla parola che designa il pubblico interesse (maṣlaḥa).
La scuola giuridica malikita, un tempo diffusa anche in Sicilia e in al-Andalus, è quella decisamente prevalente oggi in tutto il Nordafrica.
Scuola shafi’ita
La scuola shafi’ita (diffusa in Indonesia, Siria e Africa orientale) occupa una posizione intermedia tra le due precedenti.
La scuola shafi’ita deriva il suo nome da Muhammad ibn Idrīs al-Shāfiʿī, nato nel 767 ad Ascalona (Palestina), cresciuto alla Mecca e sepolto al Cairo nel 820, il cui scopo fu quello di tracciare un sistema giuridico unificato su basi religiose che ricomprendesse una gerarchia delle fonti esplicita. Membro della tribù dei Banu Quraysh, visse in contatto con le tribù beduine: cosa che gli permise di approfondire le proprie conoscenze della poesia e della lingua araba. Studiò giurisprudenza islamica a Medina e proseguì gli studi a Baghdad, dove divenne anche edotto della scuola hanafita. Non fondò personalmente la scuola shafi’ita, che fu opera dunque dei suoi discepoli. La sua metodologia fu adottata anche dalle altre scuole di diritto islamico.
Riteneva che le fonti primarie (usul) del diritto musulmano fossero: il Corano; i detti e fatti del Profeta (hadīth) facenti parte della Sunna; ijmāʿ, intesa come consenso raggiunto fra tutti i dotti della comunità (Umma); analogia o ragionamento analogico (qiyas), che riconosce una minima indipendenza dell’intelligenza umana nello sforzo di adattare le norme contenute nelle fonti primarie alla realtà variabile della società.
Grazie a lui hadith e sunna del Profeta divennero l’autorità primaria nell’interpretazione delle ingiunzioni coraniche. Hadith e Sunna, secondo al-Shafi’i, sono più importanti del qiyas (analogia) e sono seguite in importanza dall’ijmā‘(consenso) come base legittima della legge.
Quindi Corano, hadīth e sunna, qiyās e ijmā‘’ tutti insieme costituiscono gli usul al-fiqh (radici della giurisprudenza), cioè la base sistematica della legge. Definendo valide tutte e quattro le fonti del diritto, la scuola shafiʿita pose precise restrizioni al ragionamento analogico, imponendo ad essio una maggior aderenza alle norme di legge tramandate.
Scuola hanbalita
Infine, la scuola hanbalita (la più tradizionalista diffusa in Arabia Saudita) segue quella shafi’ita per quanto riguarda il ragionamento giuridico, ma esige un rispetto stretto della sunna e strettissimo del Corano; la sua importanza divenne rilevante nel XX secolo, quando si generò una comunione d’intenti tra gli hanbaliti e il movimento dei wahhabiti, tuttora dominante in Arabia Saudita.
Il hanbalismo è un madhhab che all’interno del sunnismo si occupa delle problematiche connesse alla Legge Coranica. È stato fondato da Ahmad ibn Hanbal (Baghdad, 780-855), il quale si opponeva in modo radicale a qualunque forma di intromissione della ragione umana – ritenendola arbitrariamente soggettiva – nell’interpretazione delle due fonti primarie dell’Islam, Corano e Sunna. Fondò pertanto una scuola giuridica indipendente dalle prime tre, che restrinse l’uso del ragionamento analogico a casi eccezionali e respinse quasi del tutto l’istiḥsan e l’istiṣlaḥ.
I suoi epigoni – fra cui si ricordano in particolare Ibn Taymiyya e Ibn Qayyim al-Jawziyya – accentuarono quella che era inizialmente un’intransigenza tecnica e morale, traducendola in uno stile di vita severo e finanche ascetico (al hanbalismo appartenne uno dei dotti che formarono la Sunna, Abu Dawud al-Sijistani e il fondatore della Qādiriyya, tuttora la più diffusa confraternita mistica – tariqa – islamica: ʿAbd al-Qādir al-Gīlānī).
Tutti, a diverso titolo, furono caratterizzati da un coerente rifiuto dell’intellettualismo teologico.
Tra i più recenti hanbaliti va infine annoverato Muhammad ibn ʿAbd al-Wahhāb (XVIII secolo), fondatore del Wahhabismo, che ispirò il movimento che s’impadronì delle regioni peninsulari arabe e che contribuì non poco alla formazione della moderna Arabia Saudita.
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Le quattro scuole islamiche ortodosse operarono l’estensione del diritto sacro con una certa libertà fino alla caduta della dinastia degli Abbàsidi (avvenuta nel 1258, con la conquista mongola di Bagdad). A partire da quella data non furono più possibili interpretazioni estensive: come si soleva dire, venne chiusa la “porta dello sforzo”. Per i secoli successivi il diritto islamico restò immutabile, anche se eterogeneo.
Poiché queste sono tutte ortodosse e poiché il giudice musulmano era unico e non teneva registrazioni dei casi decisi, il soggetto di diritto islamico poteva passare da un rito all’altro senza alcuna formalità né definitività. Ciò non è invece possibile per le eresie e le sette. Tra queste ricordiamo il sufismo, ponte tra il monachesimo orientale e il cenobitismo occidentale, e i wahhabiti, rigidamente conservatori, la cui potenza è andata crescendo nei tempi moderni. Essi controllano oggi le città sante e ampie zone dell’Arabia.
La superiorità dell’elemento religioso su quello giuridico comporta la soggezione del credente in quanto tale al diritto islamico, indipendentemente dalla sua appartenenza ad uno Stato con un diverso sistema giuridico. E’ questa dissociazione che ha permesso alla conquista araba di affiancare il suo diritto a quello preesistente su un certo territorio, ovviando così a molte carenze del diritto islamico. Esempi di questa co-vigenza di ordinamenti sono la penisola iberica e il subcontinente indiano.La pluralità di ordinamenti non intaccava così l’unità formale del diritto islamico.
Bergstrasser ha individuato tre settori con differenti gradi di rigidezza:
1) le norme relative ai riti, alla famiglia e all’eredità sono le più legate ai precetti sacri;
2) le norme di diritto pubblico sono svincolate dai precetti sacri e possono essere addirittura considerate fuori dalla nozione islamica di diritto sacro;
3) le norme relative al diritto dell’economia (specie del diritto commerciale) si trovano a metà strada tra le altre due.
Quello che nel diritto europeo si chiama diritto pubblico non fa parte del diritto islamico in senso stretto (fikh). Anche se i primi contrasti tra musulmani furono di natura politica e generarono la grande divisione tra sunniti e sciiti, i problemi teorici dello Stato e della politica vennero affrontati quando lo Stato era già consolidato.
Anche il diritto pubblico islamico è ramificato, ricco di contrastanti opinioni. L’apparizione di trattati di diritto pubblico è tarda e coincide con la decadenza del califfato nel V secolo dell’ègira. Infatti Maometto morì prima di poter codificare le norme per la gestione dello Stato islamico, che poté essere così amministrato con la massima flessibilità. Questo era indispensabile ad uno Stato che conosceva una continua espansione fondata sulla guerra.
Il diritto penale non presenta una distinzione netta tra peccato e reato, dato il carattere religioso dell’intero sistema giuridico Di conseguenza, il diritto penale fa la sua apparizione come disciplina relativamente autonoma solo verso il XII secolo dell’ègira.
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